Il 4 Febbraio è una data in evidenza nel calendario civile delle ricorrenze internazionali che segnalano alle autorità istituzionali, alla società civile, all’opinione pubblica, il compito di adottare condotte, misure, iniziative coerenti con i principi, i valori, i diritti che il tema della giornata richiama. Si tratta, nel caso della ricorrenza del 4 Febbraio, della Giornata Internazionale della Fratellanza Umana, la quale trae uno dei suoi presupposti da un evento di portata storica, la firma, avvenuta ad Abu Dhabi, del rilevante “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, per iniziativa congiunta del Pontefice della Chiesa Cattolica Romana, Papa Francesco, e del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb.

Un documento la cui rilevanza non può essere sottovalutata, peraltro esigente, tanto per i credenti quanto per i laici, i non credenti, gli agnostici, sia come contributo al dialogo e al confronto inter-religioso e inter-culturale, quindi al dialogo tra le fedi come opportunità di relazione e di costruzione di ponti per un mondo più solidale e più giusto, sia come strumento di orientamento per i percorsi di convergenza tra le culture, come occasione, cioè, di incontro nelle differenze, di pluralità delle culture, e, in definitiva, di arricchimento, in termini culturali e in prospettiva politica, della cooperazione e del dialogo come strumenti di prevenzione e di contrasto della violenza e di promozione e di costruzione della «pace con giustizia».

È interessante osservare come taluni presupposti del testo, poi recepiti, nelle loro ispirazioni fondamentali, anche dall’attinente risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, parlino il linguaggio dell’attualità e indichino una prospettiva di futuro. Se, da una parte, il Documento si rivolge esplicitamente agli uomini e alle donne di fede, richiamando principi e precetti che attengono all’approccio e alla condotta, religiosa e morale, richiesti al credente nell’interpretazione e nell’orientamento rappresentati dalle autorità religiose, come nel caso della sollecitazione ai credenti, «partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale», nell’attestazione della «importanza del risveglio del senso religioso e della necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni», e nella reiterata, inaccettabile per la coscienza democratica, condanna dell’aborto; dall’altra, il Documento stesso fa appello all’universo laico dei giusti del nostro tempo, sottolineando con fermezza, da un lato, che «le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano mai sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza», dall’altro, che «il dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura della tolleranza, dell’accettazione dell’altro e della convivenza tra gli esseri umani possono contribuire notevolmente a ridurre problemi economici, sociali, politici e ambientali che assediano gran parte del genere umano».

Si tratta di un elemento cruciale, nel momento in cui viene letto in parallelo con una delle affermazioni finali che ribadisce un «invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti», e un appello a ripudiare «la violenza aberrante e l’estremismo cieco». Sono questi i termini che possono delineare una traiettoria di incontro con quei percorsi, laici e democratici, di innesco delle risorse del dialogo e della riconciliazione, e, in generale, di trascendimento dei conflitti e di costruzione della pace. Nella sua risoluzione (A/75/L.52), infatti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite richiama sin dall’inizio la risoluzione 67/104 del 17 Dicembre 2012 con la quale è stato varato il Decennio Internazionale per il Riavvicinamento delle Culture 2013-2022, che impegna, tuttora e ancora nel prossimo anno, i nostri sforzi e le nostre iniziative, ed evidenzia l’importanza del Programma di Azione per una Cultura di Pace, quale compito universale per la comunità internazionale, ai fini della «promozione di una cultura di pace e nonviolenza che porti beneficio all’intera umanità», come viene, in maniera estremamente significativa, richiamato nella risoluzione.

Nel proclamare, infatti, la Giornata della Fratellanza, le Nazioni Unite stabiliscono un collegamento, assai impegnativo e molto esigente, tra i fattori culturali e la promozione della pace, e pongono il tema del dialogo e del rispetto tra le culture come uno dei fattori decisivi nel promuovere comprensione tra le persone, di ogni provenienza geografica e di qualsiasi retroterra culturale, e nel sostenere l’azione per la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace. Viene incoraggiato «il dialogo interculturale al fine di promuovere la pace, il rispetto della diversità e il rispetto reciproco, nonché per generare un ambiente favorevole alla pace e alla comprensione» e viene avanzato l’appello ad «attivare gli sforzi della comunità internazionale al fine di promuovere pace, tolleranza, inclusione, comprensione e solidarietà».

Si torna, per questa via, alla ragione fondamentale del principio di fratellanza così come il processo rivoluzionario lo aveva enucleato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino: se (art. 1) «gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti», allora (art. 4) « l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti». È appena il caso di richiamare l’assonanza con la celebre «regola aurea», variamente presente e trascritta in pressoché tutti i sistemi morali dell’umanità: amare l’altro/l’altra come te, impegnarsi nel non fare ad altri/ad altre ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé stessi. Il principio di reciprocità, abbattere muri e stendere ponti, costruire empatia e fare comunità, è non a caso il punto di innesco delle iniziative volte alla «pace con giustizia».