Alla fine, sarà Procida la Capitale Italiana della Cultura nel 2022. Pressenza ha seguito nelle scorse settimane il profilo della candidatura di Procida e la designazione, avvenuta lo scorso 18 gennaio, rappresenta un riconoscimento di primaria importanza tanto per la dinamica culturale e partecipativa della candidatura, quanto per il profilo e i contenuti del progetto presentato. Per Procida significa, in primo luogo, l’individuazione di un tempo e di uno spazio nel quale esprimere il potenziale di un vero e proprio ecosistema sociale e culturale, insieme, vivace e complesso: la sua straordinaria compenetrazione di linea di costa, borghi indimenticabili e sentieri interni; la comunità degli e delle abitanti, protagonisti e protagoniste di una storia che intende configurarsi, in base alla Convenzione di Faro, come una vera e propria “comunità di patrimonio”; la sua ineludibile proiezione strategica, che guarda alle isole della Baia di Napoli, allo straordinario complesso archeologico, naturalistico e storico-culturale rappresentato dai Campi Flegrei, e, da qui, al più vasto territorio metropolitano di Napoli, al complesso delle piccole isole, all’intero Mezzogiorno.

L’aspetto principale della designazione di Procida a Capitale Italiana della Cultura intende essere, tra gli altri, proprio questa inter-relazione tra società e cultura, tra sistema delle relazioni e rete dei luoghi della cultura. Fare cultura e fare società vengono così ad animarsi di nuovi e inediti significati: per un verso, una proiezione sociale della cultura come potenziale di sviluppo territoriale, come piattaforma di riconoscimento delle pratiche e dei saperi, dei lavoratori e delle lavoratrici dell’immateriale e dell’immaginario, peraltro tra i più penalizzati dalle misure di contenimento legate alla emergenza pandemica, e, ancora, come vettore di promozione territoriale e di inclusione sociale; e, per altro verso, come delineazione di una vera propria comunità sociale del patrimonio, ancora riecheggiando i contenuti della Convenzione di Faro, a partire dal patrimonio culturale, in tutte le sue espressioni, materiali e immateriali, concrete e intangibili, non come una galleria di beni preziosi ed esclusivi, bensì come una rete estesa e diffusa sul territorio, intorno alla quale una comunità si riconosce, sviluppa la propria iniziativa ed esercita una responsabilità di cura.

Non a caso, in base all’art. 2 della Convenzione, «il patrimonio culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato, che le popolazioni identificano […] come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione, nel corso del tempo, fra le popolazioni e i luoghi»; inoltre, nello specifico, «una comunità di patrimonio è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future». Il progetto di candidatura di Procida, “La Cultura non Isola”, allude proprio all’idea di relazione che è propria della cultura – e del fare cultura; allo stesso tempo, la sua designazione a Capitale della Cultura è anche un segnale della qualità di un progetto culturale e di inclusione sociale che parla al Mezzogiorno, rivelandone le ricchezze e le potenzialità, e che guarda al Mediterraneo, mare di culture e di saperi, in cui le relazioni sociali e il patrimonio culturale si offrono come antidoto alla guerra, alla sopraffazione e alla violenza.

L’educazione al patrimonio è, del resto, una forma specifica di educazione alla pace. È ancora la Convenzione di Faro a richiamare il «contributo del patrimonio culturale alla società e allo sviluppo umano», indicando, in particolare, all’art. 7, il compito di «sviluppare la conoscenza del patrimonio culturale come risorsa per facilitare la co-esistenza pacifica, attraverso la promozione della fiducia e della comprensione reciproca, in un’ottica di risoluzione e di prevenzione dei conflitti». Più in generale, ampliando la prospettiva, si tratta di un compito eminente delle Nazioni Unite, quando, sin nello Statuto, l’UNESCO si propone, come scopo prioritario (art. 1), «di contribuire alla pace e alla sicurezza favorendo, attraverso l’educazione, la scienza e la cultura, la collaborazione tra le nazioni, onde garantire il rispetto universale della giustizia, dello stato di diritto, dei diritti umani e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione». Sin dal Preambolo, infatti, siccome «le guerre iniziano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che le difese della pace devono essere costruite». Da un lato, «la dignità dell’uomo esige la diffusione della cultura e l’educazione di tutti per il raggiungimento della giustizia, della libertà e della pace»; dall’altro, «una pace fondata solo sugli accordi economici e politici dei governi non potrebbe ottenere l’adesione duratura e sincera dei popoli e quindi la pace deve essere stabilita sulla base della solidarietà intellettuale e morale dell’umanità».

Come si può leggere sul sito di Procida Capitale Italiana della Cultura, il programma prevede 44 progetti culturali, 330 giorni di programmazione, 240 artisti, 40 opere originali, 8 spazi culturali rigenerati, e si articola in cinque sezioni tematiche: Procida inventa (progetti che pianificano processi ed eventi artistici); Procida ispira (progetti che candidano l’isola quale fonte d’ispirazione, sia come luogo reale, sia come spazio dell’immaginario); Procida include (progetti di inclusione sociale che utilizzano i linguaggi dell’arte); Procida innova (progetti che promuovono il rapporto tra cultura e innovazione); Procida impara (progetti che promuovono il rafforzamento di una comunità educante). Il tutto all’insegna del tema della designazione, come detto, “la Cultura non Isola”, vale a dire della Cultura come fattore di costruzione di legame, e dell’Isola, che si fa centro di relazioni e di culture, di pari passo, tra l’altro, con il Manifesto «La cultura come cura – La cura come cultura» per la realizzazione di itinerari culturali in spazi aperti della Città Metropolitana di Napoli, con cui non solo rilanciare la fruizione culturale nel tempo duro della emergenza sanitaria e della crisi economica, ma anche definire un percorso di tutela del territorio, del paesaggio complessivo, dell’ecosistema.