“I contadini continuano la loro mobilitazione da settimane e non ci stanno ai proclami del governo, che sembrano rientrare in una strategia nota: quella di fare promesse, prendere tempo e poi non fare nulla. Del resto Narendra Modi gode di una grande maggioranza in Parlamento e per questo crede di poter ignorare i movimenti sociali”. A parlare con l’agenzia Dire è Subir Sinha, docente del dipartimento di Studi sullo sviluppo della School of Oriental and African Studies della University of London. Da 20 anni vive e lavora nel Regno Unito, ma è nato e cresciuto in India.
L’intervista si svolge nel pieno di una mobilitazione che da quasi due mesi vede protagonisti i sindacati e le associazioni dei contadini indiani, che protestano per chiedere l’abrogazione di tre leggi approvate a settembre dal parlamento. I contadini si sono stabiliti nei dintorni della capitale Delhi, che prevedono di invadere pacificamente con centinaia di trattori domani, 26 gennaio, in occasione della festa della Repubblica indiana.
A oggi gli allevatori non hanno accettato diverse promesse del governo, tra le quali, ultima in ordine di tempo, quella di sospendere per 18 mesi l’applicazione dei provvedimenti contestati e di istituire una commissione per esaminare le loro richieste. Un atteggiamento tenace più che motivato, secondo Sinha: “Non sono tanto i contadini a essere testardi, quanto il governi a ignorarli sistematicamente; l’esecutivo di Modi non li ha voluti incontrare a lungo e non li ha consultati nel momento in cui ha elaborato le leggi, pur affermando più volte il contrario”.
Secondo Sinha, molti dei contadini coinvolti nelle proteste “provengono dallo Stato del Punjab, e sono di religione Sikh, come si può notare anche da loro modo di vestirsi”. Secondo l’esperto, questo elemento “è stato strumentalizzato dal governo, che ha affermato che dietro alle proteste c’è il movimento del Khalistan”. Un riferimento, questo, “a un’organizzazione armata protagonista anche di alcuni attentati, come quello nel quale perse la vita l’ex presidente Indira Ghandi nel 1984, che predicava la creazione di uno Stato Sikh indipendente nell’attuale Punjab”.
Il docente trova questa associazione “offensiva”, anche alla luce del fatto che “la maggior parte dei membri delle forze armate indiane sono proprio contadini che vengono dal Punjab: i loro figli sono nell’esercito e loro si sentono dare dei terroristi”. Sinha evidenzia che questo tipo di atteggiamento del governo non colpisce solo i contadini. “Si tratta di una strategia che procede per parole chiave cara a Modi” sottolinea: “Se una rivendicazione sociale vede la presenza di persone Sikh, la si associa al Khalistan, se invece ci sono soprattutto musulmani, al jiahdismo globale, se ci sono movimenti urbani, a ribelli maoisti”. Parole chiave, le definisce il professore, “rilanciate sistematicamente dai canali d’informazione, che sono quasi completamente sotto il controllo del governo”. Dietro questo atteggiamento, secondo Sinha, si cela la visione politica di Modi: “I movimenti sociali e il loro attivismo sono semplicemente illegittimi”.
Secondo Sinha, al contrario, la mobilitazione è pienamente giustificata. “Queste leggi rischiano di avere un impatto drammatico sulla vita dei contadini” dice l’esperto. “I provvedimenti vorrebbero mettere fine a un meccanismo, forse unico al mondo, il Minimus Support Price, che garantisce un costo minimo alle derrate  comprate dal governo per i programmi alimentari”.
Una mossa, questa, che potrebbe aprire le porte a una deregolamentazione del settore a beneficio dei grandi gruppi privati. “Si tratta anche di persone vicine al premier” dice Sinha: “Negli ultimi anni hanno fatto una serie di investimenti strategici, proprio in vista di una conquista del comparto”.