Quello che cerchiamo di descrivere con una certa “oggettività” è ciò su cui si va a decidere domenica 29 novembre in Svizzera. Facciamo solo qualche breve premessa:

  1. La parte più progressista della Svizzera si rivela ancora una volta all’avanguardia rispetto a proposte che andrebbero discusse in tutto il mondo.
  2. In Svizzera ci sono validi comitati promotori che riescono a portare queste questioni davanti alla decisione democratica di tutti i cittadini e le cittadine.
  3. In passato, per esempio, si svolsero in Svizzera interessantissimi referendum che tendevano a porre un tetto ai redditi massimi e un limite nella forbice di separazione tra redditi minimi e massimi. Nessuno dei due purtroppo passò.
  4. Speriamo che questa volta i promotori dei referendum vincano, anche se c’è il forte rischio che “salvare la bottega” venga prima di un passo avanti verso un mondo migliore. Forse saranno passi intermedi, ma crediamo che la strada sia quella giusta.

Si propongono due quesiti:

PRIMO QUESITO: Divieto di finanziare i produttori di materiale bellico

La legge svizzera proibisce già la fabbricazione di armi atomiche, nucleari, biologiche, chimiche, mine antiuomo e munizioni a grappolo, tuttavia la Banca Nazionale, la Cassa Pensioni e diverse altre fondazioni finanziarie investono nella realizzazione e nel commercio internazionale di armi. Inoltre in alcuni settori della metalmeccanica e dell’aereonautica, oltre che aerei per il trasporto civile, si fabbricano pezzi per aerei da combattimento e per carri armati che sono richiesti dall’estero. I promotori del Referendum chiedono pertanto di estendere il divieto alle attività correlate con la guerra, che da sempre è la causa di molte sofferenze umane e di flussi migratori di intere popolazioni. Sottolineano anche la forte contraddizione presente in queste pratiche con lo spirito della legge svizzera che si vanta di rifiutare la violenza e di voler promuovere, attraverso azioni pacifiche e diplomatiche, la risoluzione delle controversie internazionali. Molte città svizzere, infatti, sono la sede di organizzazioni ONU.

Tuttavia il Consiglio Federale e il Parlamento raccomandano di respingere l’iniziativa, adducendo essenzialmente due ragioni:

1) la cessazione completa di attività e investimenti da parte della Svizzera nel materiale bellico non bloccherebbe le attività internazionali in questo settore e quindi non risolverebbe di fatto il problema della pratica della guerra nel mondo.

2) le conseguenze negative sarebbero solo a carico dell’economia svizzera, sia sulla piazza finanziaria che sulle retribuzioni pensionistiche agli anziani.

SECONDO QUESITO: Responsabilità delle imprese

L’iniziativa popolare chiede che le imprese svizzere all’estero siano più responsabili per quanto riguarda la garanzia del rispetto dei diritti umani e delle norme internazionali sull’ambiente. Devono essere chiamate a rispondere dei danni causati agli esseri umani, come l’impiego improprio del lavoro minorile, e al territorio, come l’inquinamento di corsi d’acqua, del suolo e dell’aria. Le grandi imprese all’estero si devono rendere responsabili anche dei comportamenti dell’intera catena di servizi correlati e dei partner commerciali. L’iniziativa referendaria mira a promuovere una gestione trasparente da parte delle grandi imprese all’estero, ma anche di quelle medie e piccole. Tale gestione dovrebbe sottoporsi regolarmente ad “un esame di dovuta diligenza” attraverso congrui rapporti e in caso di danni provocati e violazione commesse, dovrebbe sottoporsi a un tribunale svizzero che curi il rispetto delle leggi sui diritti umani e l’ambiente secondo la normativa internazionale.

Anche in questo caso il consiglio Federale e il Parlamento raccomandano di respingere l’iniziativa, anche se diversi imprenditori sono d’accordo con essa, per due ragioni:

1) Molte imprese per non dover incappare nella normativa svizzera e internazionale in fatto di gestione, sarebbero tentate di spostarsi all’estero interamente e non solo con le loro filiali, recando danno all’economia  svizzera…

2) al contrario altre imprese, per evitare complicazioni con le leggi svizzere, non investirebbero più in paesi in via di sviluppo, danneggiando soprattutto questi ultimi.

Se l’iniziativa popolare verrà accolta allora La Costituzione sarà modificata per introdurre le nuove normative in materia di gestione e di controllo nell’ operato delle imprese svizzere all’estero. Se verrà respinta, il Consiglio Federale e il Parlamento hanno già messo a punto un “Controprogetto indiretto” che prevede sempre l’obbligo di fornire dei rapporti dettagliati e regolari delle attività e modalità di lavoro da parte delle imprese (solo quelle grandi). In caso di danni e violazioni delle normative sui diritti umani e sull’ambiente sono previste solo delle ammende sino a 100.000 franchi, lasciando il compito di giudicare i singoli casi ai tribunali degli Stati interessati per non intasare di cause quelli svizzeri.

Questo Controprogetto, tuttavia, potrebbe essere oggetto di un nuovo Referendum di iniziativa popolare. Gli attuali promotori contestano la controproposta in quanto non eserciterebbe un controllo serio sul comportamento delle imprese, dato che queste non dovrebbero rendere conto davanti ad un tribunale svizzero e internazionale delle eventuali violazioni e danni arrecati. Le imprese, in questo caso, avrebbero ben poco da temere riguardo a comportamenti poco o per niente etici.