In occasione dell’European Antibiotic Awareness Day (EAAD, 18 novembre 2020) promosso dall’ECDC[1] in partnership con la World Antibiotic Awareness Week (WAAW, 18–24 novembre 2020) dell’OMS[2], l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) pubblica i nuovi dati della sorveglianza nazionale dell’antibiotico-resistenza AR-ISS e quelli della sorveglianza nazionale dedicata alle batteriemie causate da enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), coordinate dall’ISS. Dai due Rapporti[3][4] emerge che nel 2019 in Italia le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli 8 patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureusStreptococcus pneumoniaeEnterococcus faecalisEnterococcus faeciumEscherichia coliKlebsiella pneumoniaePseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) si mantengono elevate e talvolta in aumento rispetto agli anni precedenti. Inoltre, gli oltre 2400 casi diagnosticati e segnalati nel 2019 evidenziano la larga diffusione in Italia delle CPE, soprattutto in pazienti ospedalizzati.

L’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi contribuisce alla diffusione dell’antibiotico-resistenza, divenuta un’emergenza sanitaria mondiale, di cui nessuno vuole parlare. Secondo uno degli ultimi rapporti dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) e numerosi studi accreditati, circa il 70% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli animali e siamo secondi nella classifica dei paesi UE per la vendita di antibiotici destinati agli allevamenti.

Secondo uno studio condotto dall’ECDC[5] (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) e pubblicato su The Lancet, l’Italia ha il più alto numero di morti causate da infezioni resistenti agli antibiotici in UE. Oltre 10.700 persone muoiono ogni anno nel nostro Paese, 33.000 in tutta l’UE. L’uso di antibiotici nella medicina umana è la principale causa della resistenza nelle infezioni umane, ma anche l’uso di antibiotici negli allevamenti contribuisce in maniera significativa. Somministrare antibiotici agli animali in grandi quantità porta all’emergenza di batteri antibiotico-resistenti che possono trasmettersi alle persone tramite il cibo o l’ambiente e possono, in ultimo, causare infezioni antibiotico resistenti.

Nonostante fatti oggettivi e studi accreditati abbiano dimostrato che sfruttare gli animali con la spietata logica del profitto provochi disastri, l’essere umano non si impegna abbastanza per invertire la rotta.
Quest’anno molti servizi condotti dalla giornalista Sabrina Giannini hanno mostrato allevamenti intensivi di suini nel cuore di foreste cinesi e litri di antibiotici iniettati negli animali. La stragrande maggioranza delle carni e delle uova che si mangiano o del latte che beviamo proviene da allevamenti intensivi in cui si usano quantità ingenti di antibiotici. Secondo delle previsioni, il consumo globale raddoppierà da oggi al 2050, passando da 250 milioni a 500 milioni di tonnellate di carne consumati ogni anno: un sistema che oggi è insostenibile e lo sarà sempre di più, soprattutto per la salute pubblica.

Anche gli allevamenti di pollame la situazione non è felice. Oltre 20 galline in un metro se allevate a terra; in una gabbietta grande quanto un foglio A4 se allevate in gabbia; impossibilità di aprire le ali e deporre le uova in un nido; lo stress dovuto all’accalcamento le une sulle altre e la conseguente aggressività ed episodi di cannibalismo sono alti fattori di rischio per la trasmissione di infezioni che passano anche attraverso gli escrementi[6]. Questo peggiora le condizioni igieniche degli animali d’allevamento, portando all’uso di antibiotici negli allevamenti avicoli e favorendo l’aumento dell’antibiotico-resistenza animale con forti ricadute sulla salute umana. Anche i cosiddetti “allevamenti a terra” non sono al riparo da rischi, infatti anche in questo caso le condizioni sono pessime: persistono i problemi di sovraffollamento, di alimentazione non naturale, di utilizzo di farmaci e di altissimo stress dell’animale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiesto che tutti i Paesi non somministrino più antibiotici agli animali sani, cosa che accade nei trattamenti di massa e preventivi. Risultato: non viene garantita la salute ai consumatori per mantenere un sistema economico del tutto insostenibile.

Ovviamente si continua a dire che questo è un problema circoscritto e che si potrebbe risolvere, che gli allevamenti intensivi dovrebbero cambiare metodi e altre false alternative, mentre non si fa informazione sull’antibiotico-resistenza e sulla nostra abitudine alimentare fatta di junke food, carne, latte e latticini. Nel frattempo non si capisce che questo è un sistema di approvvigionamento che in natura non esiste e che non sarebbe possibile senza l’uso in massa di antibiotici. Forse l’alternativa è pensare ad un paradigma locale che consenta l’accessibilità al cibo in modo sicuro?

[1] https://www.ecdc.europa.eu/en/news-events/european-antibiotic-awareness-day-eaad-2020

[2] https://www.who.int/campaigns/world-antimicrobial-awareness-week/2020

[3] https://www.epicentro.iss.it/antibiotico-resistenza/ar-iss/RIS-1_2020.pdf

[4] https://www.epicentro.iss.it/antibiotico-resistenza/cpe/RIS-2_2020.pdf

[5] https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/media/it/publications/Publications/antibiotic-resistance-policy-briefing.pdf

[6] Le galline allevate in gabbia nella maggior parte dei casi sono disposte in verticale, per cui gli escrementi di quelle ai piani alti cadono su quelle ai piani bassi.