Recentemente Dawn Wooten, infermiera statunitense, ha denunciato la pratica di sterilizzazione forzata effettuata su donne migranti all’interno del centro di detenzione nella Contea di Irwin, in Georgia. Le sue affermazioni hanno sollevato un polverone: da un lato, le accuse di chi cerca di screditarla e, dall’altro, l’esigenza – dai piani più alti della Camera dei Rappresentanti – di profonde e attente indagini sulle possibili violazioni contro i diritti umani delle vittime.

La sterilizzazione forzata eseguita su donne indigene o sulle classi più povere dei paesi latino-americani e africani non è una novità. Negli anni ‘60, i Corpi di Pace americani hanno agito come missionari per imporre con la forza il controllo demografico nel nostro continente, con l’accondiscendenza dei governi locali. Questa pratica dalla crudeltà inaudita non ha mai avuto un verdetto né una condanna e le donne castrate in modo violento e ingiusto non hanno nemmeno ricevuto un risarcimento.

La prospettiva ufficiale che proviene dall’ambito politico in relazione ai diritti delle donne sul proprio corpo non è cambiata. Le assemblee legislative dominate da un pensiero egemonico di una fraintesa mascolinità continuano ad imporre il loro programma pieno di restrizioni a più della metà della popolazione; e, di conseguenza, l’esercizio di tale diritto viene impedito attraverso punizioni estreme. Nella maggior parte dei nostri paesi, donne, bambine e adolescenti vengono condannate nel momento in cui cercano assistenza sanitaria per interrompere una gravidanza o, semplicemente, quando si presentano in ospedale con emergenze ostetriche. In altre parole, viene negato loro non solo il diritto a ricevere cure ma anche il diritto di optare per una soluzione umanitaria alla loro situazione critica.

Le donne, solo per essere nate tali, vengono dichiarate un bene pubblico dalle società rette da un codice strettamente patriarcale. Già a XXI secolo inoltrato, si avvertono retrocessioni aberranti nella prospettiva di genere, come ad esempio in Francia, dove delle giovani donne iniziano a essere aggredite per strada solo perché indossano una gonna. Atti di estrema barbarie in un paese presumibilmente egualitario, avanzato, colto e dove paradossalmente è nato il pensiero fondamentale che consacra il diritto alla cittadinanza: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza.

Il ritorno a pratiche misogine in paesi che erano riusciti a superare queste barriere la dice lunga su come ha resistito nei secoli questa super valorizzazione della mascolinità contro la visione di un sesso femminile associato alla sottomissione, all’obbedienza, all’inferiorità e alla funzione subordinata di contribuire al beneficio sociale con il proprio corpo attraverso la riproduzione controllata. I movimenti femministi hanno fatto grandi passi avanti in termini pratici, ma non sono riusciti nemmeno a sfiorare il nucleo del sistema, la cui caratteristica principale è un profondo timore al potere delle donne in ambiti tradizionalmente maschili, come la politica, l’economia e la giustizia.

Le donne godono di uguali diritti e responsabilità, in conformità ai trattati e alle convenzioni con effetto vincolante. Ciò nonostante, demolire le barriere opposte a loro un pieno sviluppo è un tema pendente che impedisce l’evoluzione della società verso stadi superiori di convivenza e, per questo, sarà necessario abbattere i valori obsoleti che ci reggono. Questo è il punto di partenza per iniziare nuovamente con una ideologia egualitaria, giusta e di rispetto reciproco.

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Vanessa Ranieri. Revisione: Silvia Nocera