La vice-presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio, la signora Rania Hammad, come cittadina e madre italiana, ma anche come donna palestinese sensibile agli eventi terribili che scuotono il Medio Oriente in primis e varie altre parti del mondo, ha visto questo momento particolare che sta vivendo l’Italia a causa della Covid-19, come occasione di apprendere qualcosa di umanamente molto positivo.

Nella sua riflessione, senza che venga mai nominato, c’è il dramma del suo Paese, dove si reagisce alle bombe e alla violenza dell’occupazione distraendo i bambini con giochi e altre attività proprio come si cerca di fare oggi, in Italia, durante la quarantena. Rania è molto attenta al mondo dell’infanzia e ha pubblicato due libri su questo tema, ma il suo pensiero non va solo al suo Paese ma a tutti quei Paesi che ci sembrano così lontani e che, guardati “con occhi umani”, possiamo considerare “vicini, fratelli.” Uscire migliori da questa esperienza e aprirsi davvero agli altri, questo il senso della sua riflessione che, non a caso, ha voluto titolare “la lezione più bella”

Patrizia Cecconi

La lezione più bella

La lezione più bella e positiva, e quasi divina, di questa grande battaglia per l’umanità, sarà la presa di coscienza, quella che ci trasformerà e ci renderà migliori.

Se nel momento della crisi è scattato in noi l’istinto della sopravvivenza e il sentimento di resilienza, presto risentiremo gli effetti di uno shock post traumatico che ci costringerà a rivalutare tutto. Saremo profondamente toccati, segnati e colpiti dall’esperienza della quarantena, dai suoi risvolti inquietanti che ci vedono dover fare delle grandi rinunce, dei grandi sacrifici e col peso immane ed angosciante dell’incertezza.

Rivaluteremo tutto. Proprio tutto. Dalle nostre abitudini quotidiane ai nostri rapporti umani. Da ciò che è superfluo a ciò che è invece realmente importante e fondamentale per noi e per il resto del pianeta e di tutti i suoi popoli. Diventeremo consapevoli del fatto che il destino dell’umanità è uno ed unico e che le differenze di nazionalità, religione o colore non hanno significato alcuno.

Dopo settimane di incredulità e sgomento, dopo la rabbia e la ribellione, dei lavoratori, dei giovani, delle industrie e degli economisti, si è insediata in noi l’idea che tutto si doveva fermare, veramente. Che la nostra stessa vita sarebbe stata in stand by, in attesa, forzatamente, come voluto da forze maggiori questa volta, e non solo per me, ma per il globo. Ferma non solo perché è una questione di salute solo mia, ma del pianeta.

La pandemia globale ha preso il sopravvento e richiede il sacrificio di ogni singolo individuo, non solo per il suo bene ma per il bene dell’intera umanità.

Arriviamo a capire che la responsabilità individuale è importante per la collettività, che io dipendo dal prossimo, come il prossimo dipende da me. Arriviamo a capire che quello che prova l’altro è quello che provo anch’io, che non siamo diversi, non siamo simili, siamo uguali.

Ci fermiamo, col lavoro, con la scuola. Non compro, non spreco, non inquino, so stare solo e so stare con la mia famiglia. Ho tutto il tempo di pensare al significato della vita. Il vero significato. Non solo della mia, ma quella della mia famiglia, del mio paese, del globo e del genere umano.

Penso all’importanza delle cose basilari, alla salute, e quindi penso alle guerre e a ciò che quelle comportano, perché in fondo in fondo ora stiamo vivendo una guerra. E penso a loro, quelli che la guerra la subiscono in quei paesi lontani, ma poi non così lontani se pensiamo che anche i virus sono arrivati da molto lontano, ma sono arrivati. Allora penso: adesso si muore per i virus come si muore sotto le bombe. I morti che sembravano cosi lontani ora stanno anche qui. Lo sappiamo perché sentiamo le ambulanze, quelle che portano i malati. Sarà come quando loro sentono le ambulanze che portano i feriti? Quel mondo parallelo che esiste in ospedale, sarà come quel mondo parallelo di gente che scappa dalle bombe? Qui l’ospedale è pieno e sta a pochi chilometri, prima sembrava un mondo parallelo, ma non più ora che abbiamo l’impressione di finirci anche noi, e comunque siamo come dei malati a casa.

Anche le guerre quindi sono qui vicino, molto vicino. Quello che proviamo noi ora, la sensazione di non aver colpa e di essere vittime, provare la paura, e l’incertezza, sarà ciò che provano loro? Adesso che cerchiamo di spiegare ai nostri figli perché dobbiamo rimanere a casa, perché fuori è pericoloso, e dai balconi e dalle finestre vediamo gente con le mascherine, e dobbiamo raccontare un po’ di verità ma allo stesso tempo li vogliamo tranquillizzare e gli diciamo che sono mascherati, oppure che lo facciamo perché proteggiamo gli altri e che sono precauzioni e che passerà, sarà quello che fanno loro guardando i missili nel cielo?

Sdrammatizziamo perché loro sono piccoli e non li vogliamo spaventare, li vogliamo sereni, felici, e li vorremmo vedere sempre positivi senza paure e ansie. Sarà quello che provano le mamme ed i papà di quei bambini che sentendo le bombe e vedendo i bambini piangere si devono inventare un gioco nonostante siano anche loro fragili ed indifesi? Quanto è difficile mostrarsi forti davanti ai nostri figli quando dentro di noi regna il terrore di non poter garantire loro un mondo migliore.

Quando siamo andati sui balconi a cantare in pigiama, sembrando dei ricoverati in ospedali o dei prigionieri in carcere tutti quanti, ed abbiamo applaudito i nostri eroi medici ed infermieri, ed i volontari, non abbiamo fatto lo stesso con i nostri figli? Abbiamo cercato di renderlo uno spettacolo, divertente, felice e spensierato, abbiamo creato un momento di allegria ed abbiamo voluto dimostrare loro che la vita è ancora bella e che andrà tutto bene. Esattamente come fanno loro, che dopo i massacri, mesi senza scuola, padri senza lavoro, rientrano a casa circondati dalle macerie per cenare con le loro famiglie. La normalità in circostanze non normali.

E poi ci sono gli eroi. Noi almeno li abbiamo, gente che rischia la vita per noi, e loro che i loro eroi li hanno persi? Che non hanno ospedali perché sono stati rasi al suolo! Che fortuna avere quello che abbiamo, ce ne siamo mai resi conto?

Questo sistema e questi valori che sono la dimostrazione che siamo civili, evoluti, e quelli che questi valori non li hanno? Quei paesi o quelle istituzioni che mettono il profitto prima dell’individuo? Quei paesi (purtroppo anche il nostro) che hanno investito nelle cose sbagliate, come negli armamenti e le industrie belliche? E quei paesi che sono ricchi ma non abbastanza umanamente ricchi per curare la propria popolazione, cosa impareranno loro da questa lezione?

Quando l’avremo vinta questa sfida, avremo imparato ad essere grati. Grati delle cose essenziali volgeremo lo sguardo verso altri paesi con occhi umani, non considerandoli più lontani, ma vicini, fratelli.

Vedremo l’individualismo e l’egoismo come “valori” pericolosi per se stessi e per gli altri, per l’intera umanità.

Ed infine tutti arriveremo a capire che gli altri siamo noi, e che ora è veramente arrivato il momento di trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi, perché solo cosi il mondo sarà più bello, come quello che creiamo quando dalla finestra cantiamo tutti insieme per resistere e superare uno dei periodi più bui per l’umanità.

Rania Hammad

Vice-Presidente Comunità Palestinese di Roma e del Lazio