Molte situazioni di disagio sociale preesistenti, si sono notevolmente aggravate a causa dell’emergenza sanitaria.

Abbiamo chiesto il parere di un’operatrice di una CAD (Centro di Attività Diurna), strutture che assistono le persone con disabilità e le loro famiglie.

 

Buon giorno, innanzitutto come sta? Come stanno le persone che Le stanno vicine?

Buon giorno a lei, mi viene da risponderle “compatibilmente” alla situazione,  mi chiedo anche cosa significhi “vicine” in questo momento, se per “vicine” intende nello stesso luogo, nella stessa casa, stiamo bene grazie.

 

Lei lavora con famiglie che hanno figli diversamente abili, ed è rappresentante di classe, dal suo punto di osservazione quali sono, a suo parere, gli aspetti di criticità che riguardano questa emergenza in cui le persone devono restare a casa?

La domanda è certamente complessa: immaginare di  trattenere per un tempo, di fatto, non definito, bambin* dentro case non fatte, non più fatte, per accogliere il quotidiano, può rendere, allo stato attuale, queste abitazioni assimilabili a delle carceri.

Ormai le case concesse alla maggioranza delle persone sono a mala pena luoghi ove sfamarsi, dormire e guardare la TV, edifici che non dispongono più di spazi ove correre, giocare o poter disporre di luoghi che permettano di soddisfare, qualora se ne presenti la necessità, il bisogno di silenzio, di stare soli seppur per qualche momento.

Molte delle famiglie che conosco, ad esempio della classe scolastica della quale sono rappresentante, abitano in case piccole pur avendo più figl*, spesso case senza terrazzi, o anche semplicemente balconi, mancano di quelli che, in questa emergenza, stanno diventando gli unici spazi di libertà.

Parliamo di spazi che, per quanto dignitosi, non sono adatti a tempi di permanenza prolungati, famiglie che molto spesso non dispongono di dispositivi, in questo momento fondamentali, come  PC , smartphone tablet, adatti alla didattica on-line, soluzione attualmente adottata per sopperire alla chiusura delle scuole, e, qualora li posseggano, spesso non sono in numero sufficiente per tutt* i/le bambin*.

Molto spesso le persone mancano lecitamente delle competenze necessarie per utilizzare agevolmente questi strumenti, cosa che crea ulteriore frustrazione oltre a quella che già conosciamo.

Frustrazione ulteriormente acuita dalla pressione che i/le figl* esercitano sui genitori.

I/le figl* sentono l’esigenza di sentirsi “adeguat*”,  esigenza sentita sempre di più, al giorno d’oggi, come condizione irrinunciabile.

Quindi frustrazioni che si sommano alla frustrazione, inoltre oggettivamente si crea un’ulteriore differenza tra classi scolastiche sul territorio e , naturalmente,  soprattutto tra classi sociali, situazione, anche e soprattutto dal punto di vista etico, inaccettabile.

Inoltre ormai spero sia chiaro a molt* che rimanere a casa non è la stessa cosa in ogni casa: dipende dall’abitazione, dalle persone che ci vivono, dal loro stato di salute, fisica, psichica e psicologica.

Ad esempio ove si dica che si debba andare a correre, fare la spesa, portare il cane a spasso, a 300 metri da casa, occorre che comprendiamo che non tutti i quartieri sono vivibili allo stesso modo e abbiano tutti lo stesso grado di servizi, di concentrazione di negozi, seppur per beni di prima necessità, soprattutto nel caso in cui gli acquisti debbano necessariamente essere finalizzati al risparmio.

C’è il problema delle famiglie mono-genitoriali, la maggior parte delle quali sono composte da donne sole e i/le loro figl*, persone che magari stanno tutt’ora lavorando nonostante l’emergenza.

Prima dell’emergenza alcune di queste persone potevano contare sull’appoggio di familiari più anziani, appoggio sul quale ora non possono più contare per senso di responsabilità, oppure, ove obbligate dalle circostanze, lo fanno con preoccupazione, quindi si genera ulteriore frustrazione.

Non dimentichiamo che anche solo per fare la spesa, per protezione della salute de* propr* figl*, si deve evitare di portarli con sé, ma questa è, purtroppo, solo la punta dell’iceberg.

Ci sono famiglie con figl* che hanno problemi di disabilità, o anche solo con piccole difficoltà, che normalmente si possono più affrontare un po’ meglio, mi riferisco a bambin* con lievi difficoltà cognitive,  a figl* di genitori con divorzi conflittuali in atto, bambini quindi con situazioni psicologiche più complesse di altri: la situazione di isolamento, e di non monitoraggio, aggrava certamente la loro condizione.

C’è anche il terribile problema, ancor più aggravato dall’obbligo di restare a casa, de* bambin* che sono vittime di violenza domestica, l’attuale condizioni di impossibilità ad uscire di casa, sia per loro, che per i genitori, espone questi bambini all’aumento esponenziale delle probabilità di poter subire ennesime violenze.

Lo stesso discorso vale per le persone con disabilità che in realtà non sono, come spesso vengono definite,  un “gruppo sociale”, sono persone.

Sono  accomunate, per assurdo, dal fatto di essere meno “incasellabili” a livello sociale, perché hanno meno adattabilità al sistema.

Come operatori e operatrici sociali, non possiamo non renderci conto di quanto sia necessario un approccio individuale, tagliato “su misura”, che preveda l’analisi delle necessità della famiglia tutta, perché è tutta la famiglia che va sostenuta e tenuta insieme in tutti questi casi.

Spesso si tratta di famiglie, seppur molto amorose, stremate, già stremate.

Nuclei familiari spesso con situazioni socialmente complesse alle spalle, in caso contrario avrebbero ben altro accesso a supporti adeguati, anche in questo caso, la classe sociale è determinante.

Queste famiglie socialmente fragili, con persone diversamente abili a carico, vivono spesso in case non adatte soprattutto nel caso della convivenza h24 imposta dall’emergenza, inoltre una persona con disabilità sovente comporta dover affrontare spese importanti a carico della famiglia stessa.

La persona con disabilità psichica necessita di un lavoro quotidiano  per non perdere le competenze acquisite, per non perdere i benefici mantenuti dalla relazione stabilita in condizioni di assistenza e monitoraggio, idem per coloro che hanno disabilità fisiche, motorie, in mancanza di continuità nell’assistenza nel monitoraggio, si rischia una regressione estremamente significativa, che si traduce per le famiglie in un carico sia fisico, che emotivo, spesso inimmaginabile, oltre che un carico di frustrazione importante ai danni de* operatori/operatrici che li assistono.

Ritengo che il modo nel quale questi aspetti siano gestiti in tale emergenza, sia imbarazzante.

I  CAD (Centri di Attività Diurni) sono gestiti da cooperative che hanno relazioni e accreditamenti diretti con la amministrazione pubblica: sono retribuiti un base alle presenze giornaliere degli utenti.

Di fatto queste attività considerate servizio essenziale, hanno dovuto adattarsi all’attuale emergenza.

Questo si traduce in un’analisi di tutti i casi relativi agli utenti per capire quali debbano essere assistiti direttamente nel centro, oppure possano essere assistiti in remoto.

A tutt’oggi non siamo in grado di capire se la riconversione delle attività verrà accettata dalla committenza pubblica, (ovvero Regione e Comune), e se quindi sia mantenuta la condizione di servizio essenziale, aspetto fondamentale affinché la cooperativa mantenga l’appalto e venga retribuita, inoltre la sospensione delle attività decisa mercoledì scorso, di fatto,  espone economicamente le cooperative.

Inoltre tutto l’acquisto dei presidi sanitari atti a fronteggiare l’emergenza, è a carico delle cooperative stesse ovviamente…

Nelle comunità residenziali non risulta che, da parte delle Istituzioni, siano state prese misure a tutela degli utenti (e dei/delle lavoratori/lavoratrici), a mio parere avviene perché questa è una fascia di popolazione che non ha voce, che è ricattabile, esattamente come le famiglie disagiate, come le persone senza fissa dimora, come i detenuti nelle carceri o i trattenuti nei CPR: in pratica come tutte quelle categorie sociali di persone che devono necessariamente dipendere da quei pochi servizi sociali ancora erogati dallo Stato.

Persone anche “semplicemente” soggiogate da un mercato del lavoro e da una struttura sociale che non permette di scegliere per sé.

 

Se capisco bene, Lei sta denunciando il de-finanziamento del welfare, situazione peraltro preesistente, ma che in questa emergenza mostra, in tutta la sua drammaticità, i danni sociali che sta causando. Alcune situazioni non considerate nella promulgazione del DPCM dell’11 marzo, sono poi state, grazie anche alla determinazione delle associazioni, meglio gestite. Cosa si può fare, a Suo parere, durante quest’emergenza, per cercare quanto meno di tamponare queste situazioni e cosa dovrà essere fatto dopo, per risolvere questi problemi?

Non sono né una persona che fa politica né un’analista politica, ciò che è chiaro sia a me, che a molte altre persone, è che la politica istituzionale da troppo tempo non sta dando risposte.

E stata sostituita da “presunti” amministratori della Cosa Pubblica, incapaci di avere un orizzonte collettivo, sempre a mio parere,  asserviti a chi i captali li ha, capitali spesso ingenti, incapaci di vedere che così si attua una distruzione, inimmaginabile e radicale, della collettività e delle vite.

Da più parti viene dichiarato che in Italia si sono persi negli ultimi dieci anni 70.000 posti letto ospedalieri, gli effetti di queste politiche li abbiamo vissuti sulla nostra pelle anche ben prima di questa emergenza, coloro che lavorano nel SSN, che ora vengono definiti “angeli”, da molto tempo lavorano in condizioni, di fatto, inaccettabili e loro sono la punta di diamante.

Immaginiamo quelle Madri e quei Padri che citavo prima, molti di loro lavorano nelle Case di Cura, nelle ditte di pulizie, che lavorano a fronte di contratti molto svantaggiosi, a seguito della “distruzione” del mondo del lavoro mediante la destrutturazione delle leggi che avevamo conquistato con grande fatica.

Parliamo di persone che non possono minimamente immaginare di dire di no, anche se tutto ciò non li fa dormire la notte e non garantirà loro né l’accesso a studi di qualità per i propri figl*, né una vita dignitosa, né la garanzia di un’anzianità, persone costrette, di fatto, a lavorare finché staranno in piedi,.

Ci stanno regalando una vita senza presente né futuro.

Quello che fortunatamente sta avvenendo tra molte persone è una grande coesione sociale, tenerezza, ascolto, sostegno, anche ironia.

Spero tuttavia che non ci si “abitui” a queste risorse che abbiamo sempre utilizzato, tra “poveri” c’è certamente maggior solidarietà, sembra un luogo comune, ma è ciò che vedo, quanto meno laddove i problemi non si traducano in rabbia, c’è tenerezza.

Purtroppo dove la rabbia è cieca, si genera un’aggressività rivolta a chi sta peggio: razzismo, neofascismo diffuso che diventa pericoloso e fuorviante, che impedisce di comprendere chi ci ha messo davvero in queste situazioni.

Questo naturalmente avveniva anche prima dell’emergenza, ma adesso è ancor più radicale.

Le scuole del centro e le scuole della periferia, seppur pubbliche, non sono equiparabili,  i/le bambin* non giocano negli stessi parchi giochi, in generale non hanno gli stessi strumenti, non hanno la stessa qualità didattica, non crescono nello stesso modo, non hanno le stesse esperienze, né possibilità, né opportunità.

Questo è evidentissimo a chiunque volga, anche solo per un momento, lo sguardo a queste realtà.

Le persone che governano questo Paese dovrebbero assumersi le loro responsabilità, costruendo una società degna di questo nome, andando a prendere i soldi a coloro che li hanno, perché i soldi in realtà ci sono, dovrebbero attuare una vera lotta contro la corruzione.

Dovrebbero smettere di chiamare persone inquisite o condannate, che, tra l’altro, hanno già fallito in più occasioni all’esercizio dei mandati ricevuti, a risolvere i gravi problemi della collettività.

In ballo ci sono le nostre vite, il futuro dei nostr* bambin*, il presente dei nostri anziani.

Devono smettere di agire in  nome di un profitto che ormai arriva a pochissime persone, che sta alimentando un mostro disumano.

Non c’è un’altra strada, io non la vedo.