Il 30 marzo 2018 il presidio nel quale rappresentavo R@inbow For Africa a Bardonecchia veniva violato dai gendarmi francesi.

Era quasi il tramonto di venerdì 30 marzo 2018 è il Venerdì Santo: il paese è in attesa della processione.

Nella stanzetta dei volontari annessa alla stazione* ci sono alcune persone in più del solito: c’è il mediatore che ha finito il suo turno e quello che gli darà il cambio, ci sono io, il medico, e una collega in trasferta per imparare, una giovane fotografa francese e una studentessa.

Da Torino stanno arrivando l’infermiere coordinatore, un’altra dottoressa e un collaboratore laico.

Sono attesi abbastanza passaggi e ci stiamo organizzando per dare assistenza al meglio.

Vado con la studentessa a preparare degli abiti caldi e i letti per la notte.

Arriva il mediatore chiedendo di tornare subito nella stanza principale dove 5 gendarmi francesi in divisa ed armati stavano circondando un ragazzo terrorizzato, in possesso di un regolare biglietto per la tratta ferroviaria Parigi Napoli che pare sia una rotta dei trafficanti di droga.

Questo era bastato per farlo scendere dal treno e portarlo nella stanza.

Ho chiesto ai gendarmi di qualificarsi spiegando che ero il pubblico ufficiale in quel momento, ho spiegato che quella era la stanza concessa ad una ONG.

Mi hanno zittita e mandata dall’altro lato della stanza.

Allora mi sono seduta e ho scattato delle foto che ho inviato nella chat di gruppo avvisando che stava succedendo qualcosa di assolutamente imprevisto di imprevedibile.

Poi ho chiuso il telefono e ho seguito i gendarmi in bagno per controllare che cosa succedeva nel corso dell’esame dell’urina, che non era permesso senza il consenso del ragazzo, ma di nuovo non mi hanno ascoltata.

Il test era negativo, come sono entrati, veloci come una folata di vento gelido, se ne sono andati.

Ci siamo scusati col ragazzo, gli abbiamo offerto la nostra disponibilità ed è ripartito.

Intanto arrivano la polizia italiana ed i carabinieri, i colleghi che stavamo aspettando ed una famiglia che aveva urgente bisogno di assistenza.

Passano le ore. Quando riprendo il telefono e scopro che il messaggio era rimbalzato ovunque: politici, prefettura, giornali, tanto da diventare l’apertura di tutti i TG il giorno successivo e su tutti i giornali.

Lo ripeto anche oggi: nella foto che è finita in copertina di tutti gli articoli, in primo piano c’è una pistola e in secondo piano ci sono una piantina e un thermos di tè caldo.

La piantina è stata portata per rallegrare la stanza ai mediatori, ai volontari e alle persone di passaggio; il thermos viene consegnato dalla Croce Rossa e continuamente rimpiazzato.

Anche ora che siamo provati dalla pandemia, dall’isolamento, dai lutti, dalla crisi, chiedo di fare lo sforzo di guardare l’immagine al rovescio mettendo in primo piano la luce di quella piantina e il calore di quel tè, sostanza della nostra attività al presidio.
La pistola lasciamola sullo sfondo.

*Da inizio dicembre 2017, una stanzetta adiacente la stazione ferroviaria di Bardonecchia è diventata un centro di accoglienza, orientamento legale e soccorso sanitario.
Inizialmente aperta solo la notte, dopo che la sala d’attesa chiudeva poi anche di giorno.

In principio solo con medici ed infermieri affiancati da volontari “laici”, in seguito con la presenza fissa di mediatori. Una scrivania, qualche sedia, un computer, qualche branda e altri “letti” di fortuna, coperte, e soprattutto calze calde, scarponi, maglioni e pile, guanti, sciarpe, cappelli, pantaloni pesanti. E prime cure in caso di principio di assideramento o malesseri vari , cibo, accurate indicazioni sulla normativa, sui diritti, sui centri di accoglienza, sui rischi di rimpatrio se sorpresi a tentare di passare la frontiera a piedi, sui pericoli legati alla neve e al ghiaccio grazie alla collaborazione tra l’associazione Rainbow for Africa (missione denominata Freedom Mountain), volontari locali, Croce Rossa e Comune di Bardonecchia.

Ogni giorno e ogni notte uomini, donne (spesso in gravidanza), famiglie (sovente con bambini), minori non accompagnati provano a superare il confine, a piedi, nella neve ghiacciata, vestiti in modo inadeguato (infradito o scarpette da passeggio, caviglie scoperte, abiti leggeri). Arrivano in modo autonomo o fermati dalla polizia italiana o respinti da quella francese perché privi di documenti che consentano la libera circolazione in Europa, privi di biglietto di ritorno o di risorse economiche dimostrabili. Dal 2019 il presidio si è sdoppiato anche su Oulx.

Al momento sono state circa 3000 le persone assistite provenienti da Gambia, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Tunisia, Egitto, Marocco, Senegal, Pakistan, Kossovo…, in genere sane, arrivate in Italia, attraversando 1-2 a volte 6 paesi, giunte da poco, ma anche da alcuni anni, ospiti di vari sistemi di accoglienza, lavorando in nero o regolari, cercano di andare in Francia o Spagna o Svezia o Finlandia o Germania per trovare lavoro, più raramente per ricongiungimenti.

Talvolta sono stati già respinti, anche più di una volta. Alla risposta sui motivi di migrazione rispondono “lavoro”, ricongiungimento familiare”, ”problemi politici”, spesso, semplicemente ”vivere”.