Ad oggi il bilancio nazionale è 6.077 morti.

Già, ma morti in seguito al coronavirus o no?

Qui entra in gioco la grammatica che ci parla di morti “per” ossia le persone che erano sanissime e sono mancate in seguito alla polmonite causata dall’infezione e i morti ”con” cioè anziani o malati che, incontrando il virus, ne sono morti.

In quest’ultimo caso si semina il dubbio che sarebbero lo stesso passati a “miglior vita” e non debbano quindi entrare nel conteggio.

Quindi l’allarme sarebbe eccessivo, la loro positività sarebbe solo un evento irrilevante rispetto alla storia naturale della loro lunga vita o delle loro malattie.

Ma se un anziano (un diabetico, un iperteso, un trapiantato, un dializzato, un immunodepresso, un malato oncologico) cade dalla scala e muore, è morto per la caduta o per la malattia o l’età?

Sono state la patologia o la vecchiaia a farlo cadere?

Sono loro le vere causa di morte?

Sono morti in seguito al capitombolo, ma “per” la loro condizione di anziani o malati?

Enrico Bucci su “Il Foglio” sottolinea che ¾ dei deceduti erano ipertesi, dato allarmante tenendo conto che si tratta di una patologia ben controllabile con i farmaci.

E lo stesso vale per altre patologie croniche, come se indipendentemente dal virus quest’anno, a differenza dei precedenti, non fossimo più in grado di tener sotto controllo patologie croniche molto diffuse nella popolazione (non solo anziana).

Difficile da credere: allora questo eccesso di morti è davvero da attribuire all’infezione, loro diventano quindi morti “per”.

E’ logica questa versione anche perché viviamo in Italia, abbiamo un servizio sanitario universalistico di ottimo livello e quando ci capita di ammalarci, se siamo fortunati avremo malattie guaribili (mi ammalo, mi curano, mi passa, restano il ricordo e la gratitudine) oppure curabili (il diabete e tutte le endocrine, l’ipertensione, le autoimmuni, l’insufficienza renale, il cancro.…), che talvolta si sommano ad altre fragilità (essere anziani, trapiantati, immunodepressi).

Curabili vuol dire che abbiamo dei farmaci che ci permettono di vivere egregiamente, come se non le avessimo.

Essere anziani o malati non è una giustificazione sufficiente al fatto di essere morti: “senza” il virus sarebbero probabilmente ancora vivi.

Anche chi si ritiene invulnerabile deve fare uno sforzo (perché è innegabile che l’isolamento sociale sia faticoso emotivamente ed avrà importanti ricadute economiche) per tutelare le persone più fragili.

Sono persone che magari hanno sofferto, che si sono sottoposte con pazienza, per anni, a terapie ed esami, sono anziani che hanno un nome e un cognome, una storia, molti la Storia se la portano addosso perché hanno visto la guerra e tanti eventi che i più giovani studiano solo nei libri.

Inoltre gli anziani sono parte integrante di un “welfare integrativo” italiano.

Gli anziani tengono a bada i bambini dei genitori che lavorano, ospitano in casa famiglie di figli che hanno perso il lavoro, sostengono e aiutano con la loro pensione, spesso unica entrata sicura e continuativa, figli e/o nipoti.

La morte di tante persone anziane creerà non pochi problemi sociali, oltre al dolore della perdita, una perdita avvenuta in isolamento, senza alcun conforto da parte dei familiari.

Non mantenere le misure di distanziamento sociale, individuate da tutti, ormai, come l’unico “antidoto” attuale contro il virus, vuol dire contribuire a condannare soprattutto i nostri anziani a morire nella solitudine di una fredda sala di rianimazione.

Da 2 giorni gli indici di tendenza di aumento dei contagi sono in diminuzione. Era peraltro previsto, anche se con grande trepidazione, vuol dire che le misure stanno cominciando a dare qualche timido risultato.

Ecco quindi che sarà ancor più necessario continuare, ora, però, col cuore più leggero, con una luce che cominciamo a vedere.

 

 

Luisa Mondo, Medico Epidemiloga, si occupa per passione e per lavoro della salute dei migranti.