Desta spesso sorpresa l’affermazione in base alla quale l’esercizio della memoria non è solo “ricordo” e non è solo “individuale”, che la memoria può essere una pratica sociale (memoria collettiva) e che la memoria, in particolare la memoria collettiva, è frutto di una più o meno consapevole, più o meno scientifica, più o meno manipolatrice, «costruzione politica». È vero che la letteratura a riguardo, sulla genealogia, le forme e le caratteristiche della memoria collettiva, è ormai molto ampia e assodata, come vero è che le scritture, giornalistiche o specialistiche, su questo argomento non si contano, in un’epoca, come la nostra, dove l’accumulo di dati e la saturazione di informazione finiscono spesso per coprire i margini effettivi del reale.

Tuttavia, come si diceva a scuola, occorre «fare un esempio»: la forza dell’esempio può servire a rappresentare un concetto, e, se non può esaurire la spiegazione, tuttavia può fornire un’idea, alimentare una riflessione, dare una dimensione plastica, facilmente visualizzabile, di un processo, soprattutto quando così sfaccettato e complesso, come le memorie che investono vite e vissuti di singoli, gruppi e comunità. Nei contesti segnati dal conflitto etno-politico, dove cioè sono passate quel tipo di guerra e quel tipo di violenza che puntano a “strumentalizzare” la variabile etnica per fini politici, a costruire identità fittizie, a colpire i luoghi e i simboli, collettivi e culturali, del “nemico”, gli esempi, purtroppo, non possono mancare.

L’ultimo in ordine di tempo viene dal Kosovo. Nel suo discorso presso l’Accademia Memoriale dedicata ad Adem Jashari (combattente della guerriglia separatista albanese-kosovara dell’UCK negli anni del conflitto serbo-albanese in Kosovo), nel contesto delle celebrazioni intitolate «Epopeja e UK-se» (Epopea dell’UCK), il capo del governo dell’autoproclamata repubblica kosovara, Albin Kurti, ha realizzato un perfetto esempio di «costruzione memoriale», abbracciando tutte le forme e toccando tutti i topic, che sono tipici dell’esercizio della costruzione della memoria collettiva, a fini neo-identitari, da parte delle autorità politiche al potere.

Il veicolo identitario, infatti, non solo deve avere una valenza pedagogica e mobilitante, non solo deve essere trasferito attivamente alle giovani generazioni, ma deve anche ispirare pratiche collettive, iniziative sociali a valenza pubblica: «Abbiamo cominciato con una lezione in tutte le scuole del Paese, così che tutti i bambini del Kosovo possano apprendere il prezzo che abbiamo dovuto pagare per la libertà del nostro Paese … e ora siamo qui, in questa Accademia Memoriale dedicata al Comandante Leggendario Adem Jashari, alla Famiglia Jashari e a tutti i martiri e i caduti per la libertà». E poi, con dichiarazione perfino programmatica: «Il modo come ricordiamo i caduti per la libertà è un indicatore del tipo di futuro che vogliamo costruire».

L’esercizio della memoria collettiva non può, ovviamente, prescindere né dall’attivo coinvolgimento della popolazione, né dalla celebrazione dei “luoghi della memoria” ad essa associati. Ed infatti Kurti rilancia: «Li ricordiamo erigendo statue, dando il loro nome a strade e piazze, dando il loro nome alle scuole». I due aspetti sono sempre strettamente legati: la celebrazione della memoria collettiva veicola sempre luoghi e immagini che delineano un carattere e un profilo ai quali le autorità al potere desiderano che lo Stato tutto si ispiri. Si tratta di un tipico esercizio di potere, ovviamente niente affatto esclusivo di questa circostanza; eventi “salienti” e figure “eroiche” del passato sono celebrate perché diventino un fattore di legittimazione dei poteri costituiti: «Onoriamo e magnifichiamo la loro azione e i loro ideali, mentre nelle nostre vite lavoriamo costantemente e incessantemente per promuovere libertà e democrazia, benessere e unità, eguaglianza e giustizia, protezione e sicurezza, gli ideali per i quali hanno sacrificato le loro vite. Come governo, ci impegneremo nell’efficace implementazione delle Legge sul Memorial Complex Adem Jashari».

Ovviamente, non manca una lunga ricapitolazione storica: l’esercizio memoriale è anche un modo, sempre, per collegare il passato al presente, per dare una base di «lunga durata» alle azioni del presente, per fornire una legittimazione sul piano storico e culturale alle autorità costituite. E la loro «proiezione nel presente» serve per alimentare i messaggi politici dell’attualità, come quando Kurti rivendica: «solo la giustizia e le scuse possono garantire una pace duratura». L’esercizio della memoria collettiva può diventare veicolo di comunicazione di valori e di ideali o esercizio di pratiche micro-identitarie e divisive. L’incontro e il dialogo, una cultura aperta alla convergenza e alla giustizia, possono essere però un antidoto all’identitarismo.