Quel pomeriggio di domenica lo avremmo dedicato al relax e ad un bel bagno nel fiume che attraversa la cittadina di Collipulli, il Río Malleco. Questi erano i piani stabiliti con i miei compagni di viaggio, ma come spesso accade da quando siamo arrivati in Araucanía, questa terra ci riserva sempre delle sorprese. La strada che costeggia da un lato e dall’altro il Rìo Malleco, è interamente colma di rovi di more selvatiche, così dolci e mature che risulta quasi impossibile non fermarsi ad ogni passo per assaporarne qualcuna. E’ proprio durante uno di questi momenti di raccolta delle more che abbiamo conosciuto Dagoberto, un uomo mapuche che dallo stesso fiume stava filtrando l’acqua per irrigare i campi della sua abitazione. Attraverso dei tubi raccoglieva l’acqua e la portava fino ad una casetta in legno alle nostre spalle. Ci domandammo subito quale fosse la sua storia, se quest’uomo vivesse effettivamente in quella casa e se appartenesse ad una comunità. Cercammo un contatto verbale con Dagoberto che dopo solo qualche parola, si offrì di raccontarci della costruzione di quell’abitazione a bordo fiume e ci invitò a seguirlo nel suo campo.


Aperto il cancello che da sulla strada principale, si fa ingresso in un campo di grano di circa 50 ettari, in fondo al quale sventolano alte 2 bandiere mapuche: la prima che è la bandiera nazionale dell’etnia mapuche del Cile, approvata nel 1992. Qui i colori azzurro, verde e rosso rappresentano rispettivamente la vita, la forza e la fertilità. L’emblema centrale simboleggia l’universo, e i motivi laterali richiamano l’arte e le tradizioni locali. La seconda bandiera ha origini storiche, è a sfondo blu con una stella bianca ad otto punte e venne presumibilmente usata dai mapuche durante la guerra di Arauco nel XVIII secolo. Le bandiere si innalzano sopra un’abitazione in legno interamente costruita da Dagoberto. All’esterno è presente una veranda con una tenda verde, dei giochi per bambini, un lavabo con qualche piatto al suo interno, una cisterna d’acqua, degli attrezzi per lavorare la terra, un tavolo, delle panche, dei Wanko (tipiche sedute mapuche) e una maschera indigena sempre in legno, intagliata da Dagoberto. A fare da cornice a questo quadro affisso a bordo fiume, è una canzone ad alto volume che fuoriesce dallo stereo di una macchina bianca completamente aperta, parcheggiata esattamente di fronte alla porta di casa.


Dagoberto ci fa accomodare, ci offe del succo e un buon pane formaggio, ed inizia a raccontarci la sua storia. Lui vive qui insieme alla moglie e alle sue due figlie. Nonostante possegga anche un’altra casa al centro di Collipulli, ha deciso di dedicare anima e corpo al recupero di questo territorio, e con esso anche al recupero delle sue origini mapuche. “Quando ero piccolo sapevo in qualche modo di essere mapuche, ma non ne ero pienamente convinto. Nemmeno io so parlare il mapudungun perché i miei nonni non me lo insegnarono per paura che venissi bullizzato. Oggi sto cercando di imparare la lingua, ma da adulti è più difficile. Sono un mapuche che ha vissuto in un’epoca nella quale i bambini come me erano additati come ‘gli Indi’, io ero ‘el Indio’. Solo crescendo mi sono reso conto di cosa volesse dire essere mapuche, mi sono iniziato ad interessare alla causa per la quale lotta la mia comunità, ed ho deciso di diventare parte attiva di questa rivoluzione. Questa casa è la concretizzazione materiale della mia adesione alla lotta per la terra. Fa parte della comunità mapuche Antonio Panitru e l’ho costruita interamente con le mie mani. Dietro ad essa c’è un progetto. Vorrei creare uno spazio libero nel quale condividere questo terreno con almeno altre 4 famiglie. Qui ci potrebbero entrare 5 famiglie, ad ognuna spetterebbero circa 10 ettari di territorio. L’idea sarebbe quella di creare una realtà nella quale le famiglie mapuche possano vivere libere, a contatto con la natura, con il territorio e vicino al fiume che per noi è sacro e da tutto. Al tempo stesso questo potrebbe diventare luogo nel quale riscoprire le nostre origini, alimentare la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra musica e tutto ciò che abbia un legame con l’essere mapuche”.


Dagoberto ci racconta di come per occupare questo territorio abbia dovuto fare un accordo, seppur verbale, con i proprietari, che avevano abbandonato questa terra a se stessa. “Nonostante ciò, la polizia più volte si è presentata sul posto con fare molto arrogante, durante e dopo i lavori dell’abitazione. Io non ci ho nemmeno parlato, ho chiamato direttamente il proprietario perché era l’unico modo che avevo per far si che mi credessero”. La comunità della quale fa parte Dagoberto si riunisce almeno una volta a settimana, ma i temi trattati non possono essere diffusi al di fuori delle riunioni. “Ad ogni Lof siamo circa 35, un membro per famiglia, e non abbiamo un Lonko. Il Lonko è il caposaldo politico di ogni comunità Mapuche ma non può essere costruito dal nulla. Dovrebbe essere eletto per discendenza di sangue, ma al tempo stesso dovrebbe essere una persona molto saggia e dovrebbe saper parlare il mapudungun. Tuttavia è possibile diventare Lonko anche nel caso di un sogno premonitore. Se il sogno avviene quando il futuro Lonko è ancora piccolo, saranno i membri più anziani ad accompagnarlo nella sua crescita ed a prepararlo affinché possa diventare una persona saggia, giusta e una guida per l’intera comunità”.


Quella di Dagoberto è ancora l’unica casa che che stata costruita sulla sponda del Rìo Malleco; alle spalle dell’abitazione lui coltiva un piccolo orto di pomodori e grano, ed ha in mente di ampliarlo ed arricchirlo con diversi prodotti, infine più in lontananza c’è una stalla con gli animali della famiglia. “Ci fu un periodo nel quale un ragazzo aveva costruito una piccola abitazione in questo stesso campo e sembrava che il mio progetto stesse prendendo forma. Poi però è andato via per paura. Gli faceva paura questa forma di resistenza nei confronti dello Stato, il tema della lotta per la terra lo ha spaventato. Viceversa io non ho paura, sono un uomo di prima linea e sono qui proprio per questo. Da sempre noi Mapuche sosteniamo la violenza dei carabineros cileni nei confronti della nostra etnia. Gli Winka (gli abitanti del Cile che non posseggono origini mapuche), si sono sempre fatti influenzare dai mezzi di comunicazione ed hanno sempre creduto che noi mapuche fossimo un popolo violento. Se un mapuche veniva ucciso dalla polizia, lo Stato sapeva come infangare le prove ed alla fine dichiarava che quel mapuche si era ammazzato da solo. Gli Winka solo recentemente, a seguito delle proteste di ottobre, si sono resi conto della violenza dei carabineros ed hanno iniziato ad appoggiare la nostra lotta che portiamo avanti da sempre”.


Percorrendo la strada che costeggia il Rìo Malleco è possibile vedere centinaia di tende da campeggio, di villeggianti, si può ascoltare musica di ogni tipo proveniente dagli stereo delle automobili, si sente tutt’intorno un’odore appetitoso di pranzo della domenica e carne arrostita sul barbecue. Qui, le famiglie cilene di Collipulli e dintorni, vengono a campeggiare durante il weekend; i bambini si tuffano dalle rocce che corrono lungo il fiume e molti rimangono per una o più notti con le loro tende e i sacchi a pelo. Tuttavia per i mapuche il fiume è un luogo sacro: prima di bagnarsi chiedono permesso allo spirito che guida il fiume. “Perché per noi ogni elemento naturale possiede un’anima, così come quando si va a casa di qualcuno si chiede il permesso per entrare, lo stesso bisogna fare con l’acqua del fiume”, spiega Dagoberto.

Pensi che si potrebbe educare a gente ad avere rispetto per il fiume? Dagoberto risponde che crede che si potrebbe educare la gente in tal senso, ma non pensa che tutti sarebbero in grado di capire fino in fondo. Alla questione spirituale si aggiunge anche un problema di carattere ambientale. I centinaia di villeggianti che nei weekend si bagnano nelle acque del Rìo Malleco, spesso quando vanno via lasciano come souvenir rifiuti e spazzatura di ogni tipo. “La gente andrebbe educata ad avere rispetto per il territorio e dovrebbe guardare al fiume come un luogo sacro per la nostra comunità. Nessuno quando va in chiesa si permette di lasciare un sacco di spazzatura al suo interno, lo stesso dovrebbe avvenire con questo fiume”.


E’ ormai sera, la luna illumina questo campo di grano a bordo fiume, Dagoberto scalda l’acqua per un altro mate e continuiamo a chiacchierare come se la giornata non dovesse finire mai. Oggi l’Araucanía ci ha fatto un altro regalo: ci ha fatto conoscere un uomo che vive sulla sponda del Rìo Malleco, che porta avanti il sogno di un’intera comunità, lo stesso uomo qui ci ha costruito una casa, ha ideato un progetto e nel suo piccolo contribuisce ad alimentare una lotta per il territorio che affonda le sue radici nella riscoperta dell’essere un autentico hombre mapuche.