Le ragioni più specifiche dell’opposizione al progetto derivano dalle caratteristiche dell’opera in relazione al territorio e descrivono gli impatti sociali ed ambientali percepiti dalla popolazione locale. L’approfondimento di queste ragioni rivela anche la superficialità, l’inesattezza e l’incompletezza delle informazioni di cui fa uso la narrativa ufficiale per occultare le criticità dell’opera e minimizzare le conseguenze negative sul territorio.

Il Movimento No TAP non si oppone a quello che viene descritto, anche sul sito della società, come un semplice tubo. L’approdo nel Comune di Melendugno comporta il raccordo fra il tubo sottomarino e la terra ferma e il raccordo con il PRT (Terminale di ricezione) da cui il gasdotto riparte in direzione di Brindisi. Per questo sono necessari tre cantieri nella sola area di Melendugno: in località Masseria del Capitano dove sorgerà il PRT, in località San Basilio per la costruzione del microtunnel e uno a mare nel punto ove il gasdotto riemergerà dal microtunnel a 500 m circa dalla riva per ricongiugersi al tratto in arrivo dall’Albania.

Dal punto di vista ambientale sono a rischio specie protette quali Cimodocea nodosa, Posidonia oceanica, e varie specie di coralligeno, la cui presenza non è sporadica, contrariamente a quanto risultava dalla cartografia regionale nel 2011, anno in cui Melendugno fu scelta come punto di approdo per il gasdotto. A questo proposito è ancora aperta una controversia con tanto di denuncia in procura e una richiesta ufficiale alla regione Puglia, per l’istituzione di una zona protetta, ancora disattesa nonostante successivi rilevamenti da parte di ARPA e pubblicazioni scientifiche provino la presenza delle specie protette. Al momento i lavori al gasdotto continuano nonostante vi sia una prescrizione (la A9 relativa alla presenza di coralligeno da cui il gasdotto deve distare almeno 10 m [1]) che la società TAP non ha ancora dimostrato di stare rispettando. Se la zona protetta venisse istituita decadrebbe la Valutazione di Impatto Ambientale che consente la costruzione del gasdotto. Alla questione ambientale si aggiunge il fatto che l’espianto delle migliaia di ulivi necessario per lasciare spazio ai cantieri e al tracciato del gasdotto non si è svolto, in tutti i casi, nei termini di legge, essendo stato eseguito in periodo diverso da quello consentito ed in area soggetta a vincolo paesaggistico [2]. Inoltre gli ulivi, in base a testimonianze fotografiche e video, non si trovano tutti in un luogo coperto e protetto come dichiarato dalla società, bensì all’aria aperta [3]. Anche questi fatti sono oggetto di esposti alla Procura.

Le preoccupazioni della popolazione locale per la salute umana sono relative al cantiere aperto per la realizzazione del microtunnel e alla presenta permanente della centrale del terminale di ricezione del gas. Anche in relazione a questi aspetti sono stati presentati degli esposti e sono aperte delle inchieste.

La realizzazione del microtunnel sotterraneo di 1540 m avviene a partire da un cantiere di 7 ettari in località San Basilio che ha necessitato l’espianto di 235 alberi di Ulivo. Vi si trova il pozzo di spinta dove è stata calata la Talpa che esegue i lavori di scavo. L’apertura di una voragine di 15 x 15 m ha determinato nei mesi successivi all’inizio dei lavori di scavo il superamento, rilevato da ARPA, dei livelli di guardia nelle acque di falda e del suolo di sostanze inquinanti quali metalli pesanti e Cr esavalente, sostanza notoriamente cancerogena. A questo proposito è in corso un’indagine per la mancata impermeabilizzazione del suolo durante gli scavi. Al di là degli esiti dell’indagine [4], è stato rilevato l’aumento della concentrazione di una sostanza cancerogena al di sopra dei limiti consentiti, andando a rappresentare un rischio per la popolazione che prima dell’inizio dei lavori non esisteva. Una volta terminati i lavori rimarrà una zona di interdizione di circa 100 mq per la collocazione di una valvola di intercettazione del gas e un camino di 3 m.

Il terminale di ricezione del gas occuperà un’area di 12 ettari. Prevede impianti di filtraggio e di depressurrizzazione, due caldaie elettriche (per riscaldare il gas) da due megawatt e due caldaie a gas da 7 megawatt e due camini dell’altezza di 13 m.

Come si legge nel progetto, sono previste emissioni ordinarie e non routinarie.

Sulla base di queste caratteristiche e dei dati relativi ad altri impianti industriali simili, sono state calcolate dai tecnici del Movimento [5] duemila tonnellate di fumi di combustione, di cui l’86% anidride carbonica, il resto ossidi di azoto e zolfo, particolato, metano, ed altri. Tale impianto si trova a una distanza di soli 800 metri dal centro abitato di Vernole.

Il terminale di ricezione è stato al centro di un incidente probatorio dopo un esposto presentato da otto sindaci e dal Movimento No Tap.

Gli esperti incaricati sono stati chiamati a fare gli accertamenti necessari per stabilire se il PRT è assoggettabile alla direttiva Seveso III sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti L’esito delle indagini ha stabilito che l’opera non è da sottoporre alla direttiva. Da far notare il conflitto di interessi che si è verificato in questa occasione: il perito nominato da TAP per l’incidente probatorio sull’applicabilità della normativa Seveso al PRT fa parte della commissione nazionale grandi rischi. La non assoggettività alla Seveso stabilita dalla commissione tecnica del tribunale è stata contestata, i giudici hanno riconosciuto la mancanza di una valutazione ambientale che tenga conto dell’interconnessione SNAM ed un ulteriore incidente probatorio è in corso.

Tutto un altro capitolo infatti è rappresentato dal fatto che mentre su TAP pendono esposti e inchieste, in sordina sono partiti i lavori di interconnessione con la rete SNAM [6]. Ciò comporta la prosecuzione del gasdotto da Melendugno a Mesagne (BR). Il tragitto porta a Minerbio (BO), hub europeo del gas, avvalendosi in parte di gasdotti pre-esistenti ed in parte nuovi gasdotti, i quali attraverseranno zone altamente sismiche come Foligno, Sulmona, Norcia. Su questo progetto complessivo non è stata effettuata la valutazione d’impatto climatico, l’analisi costi-benefici, l’analisi degli “effetti cumulativi” della VIA, e la verifica della resilienza “climatica”, nonostante l’obbligo a provvedervi, l’inderogabilità e la non discrezionalità di tali adempimenti richiesti sia in sede europea che nazionale. Per questo motivo è in corso un’altra azione legale da parte di un team di avvocati congiuntamente a numerose associazioni, movimenti, comitati e cittadini attivi: a mezzo di una formale istanza si invita ad ogni effetto di legge la società SNAM Rete Gas a sospendere l’avvio delle attività, ad attendere l’esito dei procedimenti penali pendenti a carico di TAP e a richiedere alle autorità amministrative competenti e a TAP l’integrazione delle valutazioni ambientali con quelle climatiche.

L’imposizione dell’opera e la presenza dei cantieri stanno producendo degli impatti anche dal punto di vista sociale. Gli alberi di ulivo, alcuni di essi secolari, sono parte integrante del paesaggio salentino: la loro eradicazione ha rappresentato un trauma per la popolazione locale. Alcune modificazioni del territorio non saranno temporanee: il terminale di ricezione è permanente e sarà ben visibile. I cantieri interferiscono con tragitti quotidiani e hanno alterato il patrimonio archeologico locale (siti funerari, la via Francigena, muretti a secco dichiarati patrimonio UNESCO). A causa di recinzioni e zone di interdizione la circolazione delle persone sta subendo delle limitazioni. Una volta attivo il gasdotto, sarà interdetto permanentemente l’accesso in località San Foca a 600 km di spiaggia, comprensivo di 3 attività commerciali. Sulla componente di popolazione più attiva nella protesta si è dispiegata una macchina repressiva spropositata che ne compromette il movimento e il reddito: 25 fogli di via da Melendugno a carico di cittadini di paesi limitrofi, 70 multe di diverse migliaia di euro ciascuno, numerosi fermi, controlli. Molti cittadini percepiscono un clima di intimidazione e di limitazione della loro libertà, mai sperimentato in precedenza.

Alcune considerazioni conclusive sulla vicenda TAP

Questa ricostruzione della vicenda TAP è frutto di un periodo di studio avvenuto soprattutto in loco allo scopo di dirigere l’attenzione su eventi e dinamiche poco discusse sui mezzi di informazione tradizionale ed evidenziare le criticità generali e specifiche del progetto.

Allo stato attuale rimangono aperte una serie di questioni, alcune delle quali oggetto di esposti ed inchieste da parte della magistratura. Fra le più significative:

  • L’iscrizione nel registro degli indagati di 15 persone (fra di loro il country manager e il project manager di TAP) con l’ipotesi di reato di scarico abusivo di elementi inquinanti in relazione all’inquinamento di suolo e falda in località San Basilio, ove è stato realizzato il pozzo di spinta del gasdotto e di violazione del codice dei beni culturali e deturpamento di bellezze naturali in relazione all’espianto irregolare degli ulivi.
  • La presentazione da parte di 8 Comuni della richiesta, corredata di tutta la documentazione necessaria, della convocazione di un tavolo tecnico regionale che solleciti il Ministero dell’Ambiente all’istituzione di un SIC ( Sito di Interesse Comunitario) a mare nella zona di Melendugno.
  • La mancanza di una valutazione ambientale complessiva dell’opera TAP_SNAM in violazione della normativa europea sugli impatti ambientali cumulativi.
  • L’inesistenza di una effettiva analisi-costi benefici del progetto a supporto del via libera all’opera da parte dell’attuale Governo. A tale proposito il Movimento No TAP, avvalendosi del diritto di accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni stabilito per legge (FOIA), ha fatto richiesta ai Ministeri di Interni, Infrastrutture, Del Sud e MISE ricevendo solo risposte evasive, quali ad esempio:

“…la quantificazione dei costi di abbandono divulgata dalla stampa ha come fonte la Società di stato azera Socar […] Non si tratta pertanto di conteggi effettuati dal Governo Italiano o da questo Ministero” (MISE).

A proposito di alcune esternazioni riguardanti presunti contratti con ditte, di contratti già in essere per la vendita del gas, di penali per la mancata realizzazione Cioffi, Sottosegretario di Stato, dichiara che non si può accedere alla documentazione perché:

“si è trattato di una valutazione operata dal sottoscritto, di carattere meramente personale e riservato” (Sottosegretario Cioffi, MISE). Il dettaglio del carteggio fra rappresentanti del Movimento e gli organi Ministeriali è disponibile sulla pagina ufficiale del Movimento No TAP.

  • In un articolo del 13 aprile 2019 pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno la società TAP dichiara che manca meno di un mese per il completamento del microtunnel; il 9 maggio il Comune di Melendugno e tutti gli enti preposti ricevono la comunicazione della conclusione dei lavori del microtunnel. Gli attivisti del Movimento sono in possesso di materiale fotografico e video che provano la falsità delle dichiarazioni della società e hanno sporto formale denuncia.

I fatti esposti e le relative criticità fanno emergere come uno dei pilastri a sostegno del Movimento di opposizione al gasdotto TAP sia il lavoro di produzione, diffusione e utilizzo di saperi e conoscenze che si avvale di soggetti che creano un continuum fra esperti tout court, esperti attivisti, attivisti esperti e semplici attivisti, trasmettendosi dati, informazioni, notizie, analisi, documentazioni. La mobilitazione delle conoscenze oltre a fungere da contro-informazione e a sostanziare le azioni legali e di denuncia, mostra una contrapposizione di saperi che ne esplicita la dimensione politica. I saperi vengono selezionati, interpretati e diffusi a seconda dello schema di valori a cui si fa riferimento. Ad esempio, è utilizzando un modello scientifico classico che i sostenitori dell’opera minimizzano i danni e impatti sul territorio, mentre dagli interessi e dalla prospettiva della popolazione locale nasce l’integrazione in questo tipo di valutazione, di fattori storici, paesaggistici, culturali.

Risulta riduttivo inoltre valutare l’opportunità o meno di questo progetto senza tenere conto del contesto storico-industriale del Salento: la Centrale a Carbone di Cerano, il cementificio Colacem di Galatina, l’ILVA di Taranto, la centrale termo elettrica di Brindisi e tutta l’aerea industriale: un’area già largamente sacrificata a un modello produttivo che ha già determinato gravi conseguenze per il territorio [7]. La sezione provinciale della LILIT (Lega italiana prevenzione tumori si è espressa contro il gasdotto in quanto:

“La pressione ambientale oltre limite e i dati epidemiologici sanitari raccomandano quanto sia mai inopportuno gravare il territorio e le popolazioni di ulteriori emissioni”.

L’attivazione di meccanismi di produzione e di conoscenza che coinvolgono la popolazione civile danneggiata, gli attivisti, tecnici e scienziati pone una questione di “epistemiologia politica”: tutte le conoscenze sono il prodotto di interessi e prospettive multiple, tutti i processi di produzione di conoscenza sono inseriti in una dimensione politica, che il conflitto rende esplicita. Prendere in considerazione questa dimensione politica delle conoscenze significa riconoscere la complessità delle controversie ambientali, situazioni che necessitano di un approccio integrato degli effetti, sull’umano, il non umano, e la relazione fra essi. In quest’ottica vanno osservate le conseguenze ambientali e sociali delle grandi opere.

 

Note al testo

[1] La presenza del coralligeno al largo di San Foca era già stata rilevata nel 2017. A tal proposito la stessa prescrizione A9 del dm 223/14 (VIA) del TAP, prevede che il tubo dovesse essere posto a distanza di 50m da tali banchi coralligeni. Poiché però tale prescrizione risultava inottemperabile a TAP, data la presenza di due banchi paralleli alla linea di costa, la multinazionale ha chiesto e ottenuto dalla VIA una “interpretazione” retroattiva tale da poter stare a soli 10m dalle formazioni coralligene.
[2] DM 1/12/1970.
[3] In data 4 gennaio 2019 gli attivisti riferiscono alla stampa che a Melendugno, presso la Masseria del Capitano, a
seguito di pochi centimetri di neve, il canopy che ospitava gli ulivi espiantati ha ceduto rovinosamente sugli alberi. La sottoscritta ha osservato e fotografato gli alberi di ulivo ammassati alla Masseria del Capitano e comprovato che almeno la metà non sono al coperto.
[4] Le analisi mensili eseguite dall’ARPA Puglia sono state portate dal tavolo tecnico alla conferenza dei servizi ed è emerso (febbraio 2019) che:
– le analisi precedenti ai lavori non riscontravano gli inquinanti rilevati durante la cantierizzazione, e che quindi i superamenti non erano dovuti a un fattore ambientale;
– nella matrice cementizia, nello stabilizzato di cava e nelle acque trattate come rifiuto, derivate, vi era in varie quantità cromo esavalente;
– durante il fermo dei lavori, e che quindi, probabilmente, le lavorazioni hanno causato l’innalzamento di questi.
È stato deciso un piano di monitoraggio più serrato per la conferma di un nesso diretto tra il cantiere TAP e il cromo esavalente in falda.
[5] Relazione Commissione Tecnica del Comune di Melendugno.
[6] SNAM ha già picchettato o recintato parte della porzione brindisina del gasdotto di interconnessione TAP/SNAM. Etichettati anche gli 8603 ulivi del percorso, di cui metà di medie dimensioni e oltre 300 ulivi monumentali.
[7] L’ILVA di Taranto e la Centrale termo elettrica di Brindisi secondo una classifica stilata dall’agenzia europea per l’ambiente sono fra i più sporchi del vecchio continente, al 18° e 52° posto, mentre son in totale 500 siti definiti pericolosi dall’agenzia regionale per l’ambiente della Puglia.

Lo scritto è la terza e ultima parte del contributo dell’autrice a “La favola delle grandi opere“, ciclo di incontri organizzato da Laboratorio politico perUnaltracittà e Spazio InKiostro (Firenze, 21 marzo 2019). Leggi qui la prima parte (Dal progetto al conflitto) e qui la seconda parte (NoTAP né qui né altrove) della trascrizione dell’intervento di Serena Tarabini.

L’articolo originale può essere letto qui