Fascisti e antifascisti pari sono. E aggressori e aggrediti pure. È questo il messaggio che di fatto ci consegna la sentenza di primo grado del tribunale di Milano di ieri 11 febbraio, a proposito dell’aggressione di un gruppo di fascisti di Casa Pound, in gran parte arrivati da fuori Milano, all’interno di Palazzo Marino del 29 giugno 2017. Infatti, due neofascisti sono stati condannati rispettivamente a un anno e a 10 mesi, mentre un antifascista è stato condannato a 8 mesi e 5.000 euro di ammenda. Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma.

Ma torniamo un attimo a quel giorno di quasi tre anni fa, quando accadde una cosa che a Milano non si era ancora vista, sicuramente non negli ultimi 75 anni. Cioè, un’aggressione fascista all’interno di Palazzo Marino, sede degli uffici del Sindaco e dell’aula consiliare milanesi. Visto che chi scrive c’era nella delegazione aggredita, vi ripropongo il mio racconto dei fatti, scritto all’indomani: Cronaca dell’aggressione fascista dentro Palazzo Marino (perché non rimangano dubbi). Prendetevi due minuti per rileggerlo, perché così si capisce meglio lo stupore e l’indignazione per la narrazione che esce da quella sentenza.

Beninteso, qui non è questione di “commentare le sentenze”, anche perché le motivazioni dovranno essere ancora pubblicate. No, il problema non è un singolo processo, bensì quella tendenza più generale che negli ultimi anni si è consolidata, sul piano giudiziario, politico, culturale e mediatico, e che insieme alla rilegittimazione di discorsi e pratiche neofasciste porta alla delegittimazione progressiva di discorsi e pratiche antifasciste. Appunto, pari sono, opposti estremismi, ambedue da condannare allo stesso modo.

È quella logica che genera mostri, perché quanti non conoscono i fatti di tre anni fa, come la stragrande maggioranza delle persone, alla luce della sentenza di ieri non possono che concludere che si era trattata di una sorta di rissa tra balordi, tra estremisti di destra e di sinistra. E così, la verità di quel giorno, la gravità politica del fatto e l’esistenza di aggressori e aggrediti, finiscono nella nebbia di una narrazione tossica, dove tutto è inintelligibile, confuso e, in fin dei conti, uguale.

Infine, non dimentichiamo che qualcuno di noi è stato condannato a 8 mesi di reclusione e 5mila euro di ammenda. Si tratta di Riccardo Germani, noto sindacalista e attivista di movimento, che quel 29 giugno si era mobilitato insieme a tant* altr* antifascist* dopo aver saputo dell’aggressione e che si era pure preso le botte dai reparti antisommossa. A lui tutta la mia solidarietà!

Si tratta soltanto della sentenza di primo grado, ovviamente, e l’appello potrà forse cambiare le cose. Ma la narrazione tossica e il problema generale rimangono. E con questo dobbiamo fare i conti, tutti e tutte.