Con questo primo articolo che rimanda a un blog: “La Nostra Affrica parte una serie di pubblicazioni a cadenza quindicinale con l’obbiettivo di raccontare e approfondire la questione meridionale da una precisa angolazione. Essenzialmente non è un lavoro di denuncia, né tanto meno di promozione delle buone virtù civili, bensì un tentativo di “rappresentazione”, dove l’attualità non escluda la storicità e la linea del tempo possa misurarsi secondo i canoni classici: presente, passato futuro. Narrare un’esperienza della molteplicità che caratterizza un territorio, affidandosi piuttosto alla volontà di testimoniare, di costruire la memoria dell’oggi, senza scartare quell’avi ieri, di lasciare tracce solide – ma non monolitiche – per le generazioni future. In definitiva, arrivare a realizzare un autoritratto di queste terre, che la maggior parte di coloro che non le abitano conosce solo per sentito dire, e per questo affidarsi ai saperi viventi, cercando in quei capitoli storici, sociali e politici che sono raccontati dai comportamenti stessi delle persone, scritte nelle enciclopedie della vita, nelle esperienze del quotidiano, messe in luce nelle esistenze concrete delle persone, incarnate nei loro modi di essere e fare, nelle loro mentalità e consuetudini, nel loro stesso rapporto con il territorio. La narrazione del territorio del Meridione comincerà partendo dalle molte testimonianze di giovani, adulti, immigrati, persone di vario genere; in seguito (impossibile determinare quando) in un sito a sé stante, comparirà progressivamente del materiale audiovisivo e documentazione di iniziative dal basso che sono sorte in Puglia (nello specifico in località come Foggia, Borgo Mezzanone, Gran Ghetto di Rignano, San Severo…). L’obbiettivo è quello di ampliare la narrazione, offrendo un ventaglio di spunti che si auspica possano aiutare a capire meglio le varie realtà che vivono attualmente nel Sud Italia, prediligendo il punto di vista di coloro che sono promotori e attori di iniziative di riqualificazione del territorio, sociale, culturale e umana, che partono dal basso e si inseriscono nella realtà di tutti i giorni, nei contesti dove vivono le persone in carne ed ossa. Un’esperienza da considerarsi quindi incompiuta, in quanto è un’esperienza che si sta compiendo tuttora.


Sul progetto

Nelle prossimità di un’esperienza incompiuta
Se fossi una pietra, dotato di ragione e di parola, potrei anche io, in quanto pietra pensante e parlante, dire, con Schopenhauer: “Il mondo è una mia rappresentazione”? Sembrerà inusuale, ma è proprio questo il dilemma di fondo che caratterizza il progetto La nostra Affrica. Autoritratto di un territorio: chi rappresenta cosa? La posta in gioco, sul piano metodologico, è la dialettica tra soggetto e oggetto, tra sé e altro da sé, tra res cogitans e res extensa, tra io empirico e empirica oggettività, in cui sono iscritti i memoriali di una molteplicità materiale e sociale. Ahimè, non possiamo misurarne le conseguenze sul piano dei contenuti! Un territorio ha un’anima e questa è la somma qualitativa di tutte le anime che lo abitano. Ha una memoria, memoria di tutte le memorie. Avrà anche un futuro, che sarà il futuro di una molteplicità di esistenze che progettano il loro avvenire. Allora, il nostro dilemma si può esprimere anche nel modo seguente: un io può raccontare la storia di un territorio contrassegnato dai marchi delle storie di centinaia di migliaia di altri io, senza sentirsi costretto in una specifica rappresentazione della realtà? Può farlo nelle vesti di una pietra pensante e parlante?

Questo è un libro-website che scrivo da diversi, moltissimi anni. Cominciato su foglietti di carta, continuato su una vecchia macchina per scrivere, ripreso all’alba della rivoluzione informatica, ritoccato due trecento volte, nella testa, su altri pezzi di carta, sui vari laptop che ho posseduto, è un tipo di progetto che non smette di tormentarmi. Il materiale, accumulatosi negli anni, trasformatosi in rapporto agli innumerevoli contesti empirici che i suoi contenuti implicano, ha riempito varie memorie virtuali, oltre a quella reale. Ma siccome anche la realtà nuda e cruda è nel frattempo cambiata, siccome anche le mie impressioni e le mie condizioni hanno subito svariate modificazioni, siccome molti punti di vista di una volta non saprei nemmeno più riconoscerli, e siccome la vita mia, come quella degli altri, sembra l’effetto irreversibile e multilaterale della teoria del caos, molti di questi file digitali sono andati perduti, altri sono stati alterati al punto da essere irriconoscibili, altri semplicemente cestinati. Non so infatti con precisione che cosa resta, e come riuscirò ad organizzare quel che resta. Una strategia, è proprio quella di ripartire ex novo, o quasi.

Vi chiederete perché tutto questo daffare e per che che cosa poi. Ragioni ce ne sono.

>Uno: non vivo di scrittura, questo è ovvio.

>Due: ho le mani sempre impicciate in qualcosa … oltre la testa, voglio dire.

>Tre: dovrei scrivere un altro libro solo per spiegare perché deve esistere questo libro, il che significherebbe vivere almeno altri vent’anni rispetto a quelli che avrà stabilito per me il dio ignoto di tutte le cose, considerato che ho già programmato tutto per i prossimi quaranta e non posso aggiungere altri progetti, altrimenti apparirei a me stesso troppo presuntuoso.

>Quattro: per varie ragioni, che senza dubbio saranno più evidenti nel seguito, non ho mai trovato un inizio reale di questo libro e nemmeno un plausibile finale, se è per questo – Ce ne sarà uno? Certo, non potrà essere un lieto fine! –

>Cinque: i quadri invece sono tanti, alcuni con la cornice, altri senza, altri ancora in restauro, e ciascuno caratterizzato da sfumature degne della mano di un Picasso. >Sei: …

Come si vede, non siamo tipi che amano fossilizzarsi in schemi. A dire il vero, l’intenzione principale di questo io che si aliena qui, in questo libro-website, è di fare un autoritratto della comunità a cui appartiene-non appartiene: cioè di descrivere i quadri in cui ha vissuto negli ultimi sei lustri circa, cioè quasi un terzo di secolo, tenendosi idealmente al di fuori di questi quadri. Motivo? Pensateci. E’ forse sempre vero che la terra in cui si nasce e si cresce è propria quella in cui si gradirebbe vivere? Non è forse più frequente la sensazione che anche nella terra in cui si nasce e si cresce, si viva perlopiù simili a degli stranieri? Io, almeno, questa sensazione ce l’ho incollata addosso da sempre.

Ci si chiederà che tipo di tecnica useremo, visto che vogliamo restare al di fuori delle cornici, pure non potendo non essere dentro il soggetto. Ma a questo punto chiedetevi se la domanda è davvero pertinente. Prima di completare il suo quadro, un pittore potrebbe anche decidere di cambiare tecnica. Dopodiché, bisogna anche dire che nessuno è obbligato a terminare un’opera. Lo dicevano anche Sciascia e Pasolini!

Suvvia, il punto è che la complessità regna sovrana su tutte le cose della vita, “di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono” (no, perché anche le cose inesistenti sono complesse, a modo loro!) Certo, anche il relativismo spicciolo, dimentico dei dilemmi dell’antichità, e tanto abusivismo di stupidità regnano incontrastati in quanto parti costitutive della complessità. Voi credete che in un paese formalmente libero, democratico, con le scuole aperte più o meno tutto l’anno, ci siano davvero degli ignoranti? Credete che nella società del massimo sviluppo degli strumenti, dei metodi e delle possibilità di conoscenza (si pensi solo a quelle che offre internet) ci possano ancora essere degli ignoranti?

Io vedo solo moltissime persone che, come dice il detto popolare, “fanno gli scemi per non andare a fare alla guerra”. Fra i moltissimi, tantissimi falsi ignoranti o furbetti dell’ultima ora: certo, si vedono anche molti polli in giro. La complessità sta anche nel comprendere perché sussiste tutta questa messa in scena, questa malafede legittimata da rappresentazioni populiste del cittadino medio che non saprebbe questo e quell’altro. Perché oggi si chiede a tutti di essere cittadini modelli, se già Rousseau nel Settecento aveva detto che queste richieste fanno solo illudere i cittadini? I modelli stanno nel mondo soprasensibile, ammesso che ce ne sia almeno uno (infatti, qualcuno sostiene ne esistano diversi). Occupati, i metafisici della politica, a capire le profondità della cosiddetta “crisi della rappresentazione”, non penso abbiano il tempo per illuminarci anche sulla “realtà” a cui questa rappresentazione fa riferimento. Io non ci credo: non credo né al cittadino modello, né all’eroe di turno né, né a un mondo migliore, né a una società democraticamente perfetta. Credo non in valori fini a sé stessi, bensì solo in gesti concreti che affermano il valore della vita nella sua complessità. Credo Io che, William Blake di Ken Loach, sia una realistica interpretazione delle teorie di Rousseau, che basti e avanzi come modello, e che il resto sia tutta una mascherata, particolarmente drammatizzata nei paradigmi di una industria culturale affetta da una forma acuta di sclerosi multipla, semmai edulcorata da una serie di raffigurazioni che si estendono tra il politicamente e l’informaticamente corretti. Essenzialmente, credo che ogni singolo individuo abbia le sue responsabilità ma che gli individui che rivestano cariche pubbliche ne abbiano qualcuna in più. Credo che gli amministratori di una città, di un paese, di una nazione, siano più responsabili dei cittadini che li hanno delegati. Credo che siano proprio costoro i guardiani dell’utopia della felicità sulla Terra. E, dopotutto, penso di non essere troppo lontano dalla concezione di Dante, che aveva sistemato nei gironi dell’Inferno tutti i peggiori personaggi del clero e dello Stato, anzi i peggiori in assoluto nelle bolge più vicine a Lucifero. Voi credete di no? Che i rappresentati politici dei cittadini non siano più responsabili di questi della condizione del proprio paese? Pensate che le responsabilità di entrambi si eguaglino? Bene, restiamo pure sulle nostre posizioni, per ora, se non vi dispiace.

Questo libro non parla di questo e quell’altro sistema di loschi affari, non ha come obiettivo di denunciare qualche situazione o qualcuno, né quello di promuovere le buone virtù civili. Questo libro è un’esperienza della molteplicità che caratterizza un territorio, il quale potrebbe senza dubbio essere per molti aspetti simile ad altri. Un’esperienza da considerarsi incompiuta, in quanto è un’esperienza che si compie tuttora. Lo scopo di questa esperienza è solo quello di una volontà di testimonianza, di memoria, destinato più alle generazioni future che a quelle attuali, in quanto si preoccupa di ciò che noi contemporanei lasceremo loro in eredità in termini, appunto, di rappresentazione del presente. Intende cioè seguire una linea storica più che polemica. Ma poiché non c’è storiografia che tenga senza un minimo di critica… eccetera eccetera.

>Sette: non fate caso a quanto ho appena finito di scrivere. Concentratevi più su quel che scriverò nei mesi che verranno, se verranno – perché il tempo, si sa, nella sua misteriosa durata, non lo controlliamo noi.

Foggia, 10 gennaio 2020

      -La Nostra Affrica-     

 

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