La recente escalation militare in Medio Oriente ha fatto sorridere i mercati azionari del comparto della “difesa”. Un po’ come quei due costruttori che se la ridevano al telefono per il terremoto in Abruzzo. Non è una novità del resto: le armi sono un prodotto e come tutti i prodotti, perché il profitto si realizzi devono essere comprati, consumati e possibilmente ricomprati. La guerra è il mercato di questo settore.

In una lunga intervista rilasciata a Rivista Italiana Difesa lo scorso dicembre l’amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo ha detto chiaramente che la stessa Leonardo è “prima di tutto uno strumento della politica internazionale dell’Italia” poiché il suo settore di business “riguarda direttamente i rapporti di alto livello con gli altri Stati”.

Se consideriamo che i maggiori clienti di questa azienda sono Stati Uniti, Turchia e le monarchie petrolifere del Golfo comprendiamo bene anche il senso profondo delle parole dell’amministratore delegato: l’industria bellica non è soltanto uno “strumento”, ma il faro della politica estera e della “difesa” italiana.

Il fatturato di Leonardo valeva 12,2 miliardi nel 2018, ma di questi solo il 15% veniva prodotto in Italia. Tutto il resto è stato generato all’estero (principalmente Stati Uniti e Regno Unito) in impianti acquisiti e direttamente controllati dall’azienda. Come quello di Philadelphia, dove verranno prodotti anche i nuovi elicotteri da addestramento dell’Us Navy: è notizia di questi giorni che Leonardo si è aggiudicata la gara per la fornitura di 32 macchine con un contratto da 176 milioni di dollari.

Se si mettono in fila i numeri che Profumo snocciola nell’intervista appare chiaro come nel 2018 il fatturato di Leonardo in Italia valeva poco più di 1,8 miliardi di euro, corrispondenti allo 0,1% del Pil che di miliardi ne valeva 1753,9.

Questa multinazionale italiana non produce quindi un granché in termini di ricchezza generale nel nostro paese, ma ne diventa comunque “strumento della politica internazionale”.

“Non bisogna farci trarre in inganno dalla percentuale di fatturato che facciamo nel nostro paese dicendo che è poco rilevante” – prosegue Profumo – “poiché in quel 15% c’è molto dello sviluppo di nuovi prodotti per il sistema di difesa dell’Italia che, essendo particolarmente apprezzato nel mondo, diventa elemento di garanzia di ciò che Leonardo realizza (…) Quello nazionale è un cliente molto apprezzato grazie all’impegno che l’Italia ha espresso negli ultimi 30 anni su tutti i teatri del globo”.

Ma la toppa risulta peggio del buco: il “cliente nazionale” è apprezzato per la sua trentennale belligeranza, che permette all’azienda di realizzare il 15% del suo fatturato, mentre le stesse avventure militari del nostro paese diventano il migliore défilé bellico globale del “made in Italy”.

Quando poi il “cliente nazionale” è anche quello che paga buona parte della ricerca e sviluppo e diventa esso stesso l’addetto alle vendite grazie alla recente introduzione della norma “government to government”, allora si capisce bene come mai Profumo non perda occasione per ringraziare i governi per la loro lealtà “aziendale”.