Nessun dolore è più lancinante e personale di quello di una madre che perde un figlio. Le donne centroamericane (e, in misura molto diversa, gli altri familiari) della Carovana delle madri dei migranti desaparecidos credono profondamente nel potere di ritrovarli. In quindici anni è già accaduto 315 volte.

Quel potere, però, non è affatto personale. Tutte quelle donne lo hanno imparato, quello è un potere collettivo: bisogna organizzarsi per cercare e per affrontare i molti poteri avversi. Come quello del crimine organizzato, che vede nelle persone migranti un bottino di guerra; o quello degli Stati che, con le loro politiche, creano mercati neri di esseri umani, picchiano e separano le famiglie in nome della legge; oppure quello patriarcale, che vede nei corpi delle donne migranti un’altra proprietà di cui disporre. Sono molti e spesso letali i poteri contro cui devono lottare le madri, ma ognuna di loro diventa una portavoce e una dirigente comunitaria di tutte. È così che crescono anche i poteri che hanno dentro o al loro fianco.

In questi primi giorni del 2020, nuove carovane dall’Honduras hanno ripreso o si prepararano a riprendere il cammino verso nord. Erano state precedute, a fine anno, dall’arrivo nel Nuevo León, lo Stato messicano al confine con il Texas, della quindicesima edizione della Carovana delle Madri. Quelle donne centroamericane coraggiose costruiscono qualcosa che ha un respiro planetario e, malgrado sfidino tutti i governi, incontrano un’ampia rete del Messico profondo che osa appoggiare una libertà di movimento ogni giorno più criminalizzata, perseguitata, vulnerabile, ma comunque inarrestabile.

Chi siamo? Le madri centroamericane!

Chi cerchiamo? I nostri figli!

Perché li cerchiamo? Perché li amiamo!

Cosa vogliamo? GIUSTIZIA!

La gente si prende per mano e forma un circolo nella chiesa di Marín, Nuevo León. La Caravana de Madres Centroamericanas de Migrantes Desaparecidos è arrivata a questo villaggio del nord proprio per quello che sta per succedere, la ragione della loro esistenza: un re-incontro tra madre e figlio, separati dalla migrazione e riuniti dalla carovana. Lilian Alvarado de Romero ha visto partire i suoi due figli, Dalinda di nove anni e Salvador di sette, 31 anni fa, perché si salvassero dal conflitto armato in Salvador che si era già portato via la vita di vari familiari. Da allora non conosceva la loro sorte. Vedendosi gridano “mamma!”, si abbracciano, piangono e piangiamo tutti. La nonna vede i nipoti per la prima volta. Il cerchio spezzato si ricompone. La carovana lascia la famiglia, finalmente riunita e ansiosa di riempire i decenni da raccontare, e continua il suo cammino.

Nel suo quindicesimo anno la carovana è riuscita ad ottenere sei re-incontri come quello di Lilian. Un figlio che se ne era andato dall’Honduras da adolescente per cercare un futuro migliore e ha perso il contatto con la madre per più di trent’anni, un padre indigeno del Guatemala che ritrova la figlia in un carcere di Reynosa, detenuta per 6 anni senza sentenza per un crimine che non ha commesso; una madre che trova il figlio a Coatzacoalcos e una sorella che si riunisce con la sorella a Tuxtla Gutiérrez. In totale sono 315 re-incontri in 15 anni.

La carovana delle madri è passata per 14 stati, portandosi dietro 38 familiari, una piccola squadra del Movimiento Migrante Mesoamericano che la rende possibile ogni anno, sei organizzatori di carovane di migranti in Spagna e Italia — alleati naturali del movimento che ora è globale — e vari giornalisti. Il percorso delle madri in Messico segue sempre le rotte migratorie: sono alloggiate negli ostelli che ricevono i loro figli e figlie, tracciano i binari del treno che sono l’arteria dei flussi migratori e conversano con questa ampia rete del Messico profondo che osa appoggiare la migrazione centroamericana sempre più criminalizzata, perseguitata e vulnerabile. E inarrestabile.

Alcuni cercano figli che se ne sono andati molti anni fa e altri da poco. Dal conflitto armato e le guerre civili i paesi centroamericani sono passati alla violenza strutturale e alle crisi politiche. Non c’è tregua. Contro di loro nessuna legge, né muro, né forza armata può fermare la gente che fugge dalla morte e dalla mancanza di futuro.

Foto di Isabel Mateos. tratta da movimientomigrantemesoamericano.org

Tra le madri ci sono anche padri, fratelli, sorelle e figli. La carovana non discrimina, ma il suo nome è più che simbolico. Il fatto è che la maggioranza dei familiari che cercano e continuano a cercare con il passare degli anni e i decenni sono le madri. Se dici loro che devono continuare la loro vita – ed è un consiglio non richiesto che sentono spesso — rispondono che cercarli è la loro vita. La mancanza di una figlia o un figlio non è qualcosa che resta nel passato o che si possa mai superare.

C’è anche un’altra ragione che spiega l’impegno irremovibile delle madri: la trasformazione personale e sociale che avviene con la lotta. Ognuna è una portavoce eloquente della propria causa e una dirigente comunitaria. Hanno formato collettivi nei loro paesi — Honduras, Guatemala, El Salvador e Nicaragua — che lavorano per continuare la ricerca e fare pressione sui governi.Il fatto che queste donne acquisiscano più potere è una sfida doppia per il sistema capitalista globale, che vuole che la gente povera, esclusa e per di più donna, occupi un luogo che sta più in basso rispetto agli altri e non si debba muovere da lì.

Le madri hanno imparato a parlare in pubblico senza paura e senza sotterfugi, a comprendere le complesse trame governative disegnate per simulare e ostacolare. Redigono istanze, inventano slogan, fanno relazioni pubbliche nelle piazze dove espongono le foto dei loro figli. Conoscono i propri diritti e li esigono.Negli ostelli e centri che la carovana visita si ripete con poche varianti la stessa frase: “Siete le difensore della vita di fronte a un sistema di morte.”

Foto di movimientomigrantemesoamericano.org

Il potere più importante per queste madri è il potere di trovare i loro figli. Credono profondamente in questo potere, se no non sarebbero qui. Hanno imparato che questo è un potere collettivo, che bisogna organizzarsi per poter cercare e per poter affrontare i poteri che sono contro di loro: il potere senza pietà del crimine organizzato che vede nelle persone migranti un bottino di guerra; il potere degli stati che con le loro politiche anti-migranti creano un mercato nero di esseri umani ed estorsione, picchiano e separano famiglie in nome della legge; il potere patriarcale che vede nei corpi delle donne migranti un’altra proprietà di cui disporre. Sono molti i poteri contro cui devono lottare, ma sono tanti anche i poteri che portano dentro e al loro fianco.

Le famiglie dei desaparecidos messicani che presto lanceranno la loro ricerca nazionale hanno uno slogan: “Cercandoli ci troviamo”. Si applica alla Carovana de Madres. Oltre alle amicizie che nascono, che soprattutto quest’anno hanno rafforzato l’unità e sono state fonte di amore e allegria, si trova un altro mondo possibile, come dice la fondatrice Marta Sánchez, un mondo di solidarietà e fratellanza che fa credere nel futuro nonostante il dolore del presente, un dolore che nessuno conosce così da vicino come una madre che cerca suo figlio.

Fonte: Americas Program

Traduzione per Comune-info: Michela Giovannini

 

L’articolo originale può essere letto qui