Inclusione, dialogo e “amore non negoziabile” nella messa della vigilia. Qualche giorno prima aveva accolto i migranti di Lesbo.
Sono 1,3 miliardi i cattolici nel mondo che oggi celebrano il Natale. Ieri sera, nella Basilica di San Pietro, in Vaticano, Papa Francesco ha aperto le celebrazioni, concluse portando la statua del Bambino Gesù nel presepe che è stato allestito in piazza. Ed è stata l’opportunità per confrontarsi su un tema che sta tracciando il suo intero pontificato: la migrazione, l’universalità e il confronto interculturale. Infatti, ad accompagnarlo durante la processione, sono stati 12 bambini di diverse nazionalità (tra cui il Giappone, Paese che ha visitato proprio di recente).

Con il Natale si celebra la nascita di Gesù, detto “il Cristo” perché Messia che, secondo la tradizione cristiana, è stato inviato sulla Terra da Dio. Ecco perché il Papa, nella messa della vigilia, ha detto: “Stanotte l’amore di Dio si è mostrato a noi: è Gesù. In Gesù l’Altissimo si è fatto piccolo, per essere amato da noi. In Gesù Dio si è fatto Bambino, per lasciarsi abbracciare da noi. Ma possiamo ancora chiederci perché San Paolo chiama la venuta nel mondo di Dio ‘grazia’? Per dirci che è completamente gratuita. Mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis. Il suo amore non è negoziabile: non abbiamo fatto nulla per meritarlo e non potremo mai ricompensarlo”.

E’ proprio nel concetto di amore e di esperienza partendo dal “piccolo”, che si trovano alcune chiavi di interpretazioni del Natale. “Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la Chiesa cambia, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono”, spiega il Pontefice. Un Natale contrassegnato dunque dall’impegno ‘comunitario’ . Un impegno che quotidianamente si può tradurre anche in una forte spinta al dialogo interculturale attraverso l’accoglienza dei migranti.

Nel Cortile del Belvedere, in Vaticano, sono stati esposti una croce e un giubbotto salvagente di un migrante scomparso a luglio per ricordare chi tenta la traversata del Mediterraneo. La Santa Sede da tempo sta sostenendo le politiche legate ai ‘corridoi umanitari’, cercando di dare il proprio peso a quel messaggio universale di Cristo, che va oltre il credo religioso. Per il Papa salvare ogni vita umana, “è un dovere morale che unisce credenti e non credenti”, ha detto accogliendo nei giorni scorsi 33 rifugiati provenienti dall’isola di Lesbo, in Grecia, e arrivati a Roma grazie un corridoio umanitario. Proprio a Lesbo, nel campo profughi di Moria, ci sono 14 mila migranti. “Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile. Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli. Come possiamo “passare oltre”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte. La nostra ignavia è peccato!”, aveva detto.