Talvolta ricordata come la «Sarajevo del Kosovo» o la «Città di Pietra», Gjakova è un luogo altamente simbolico per il Kosovo: è legato ad alcuni dei più importanti eventi storici che appartengono alla memoria collettiva della regione e conserva le caratteristiche fondamentali di un vero e proprio luogo della memoria per la tradizione albanese nella regione. Qui, storia balcanica, albanismo e islamismo, per certi aspetti ancor più che a Prizren, trovano un punto di sintesi e di equilibrio assolutamente specifico. Richiamata per la prima volta come città nel 1662, dal viaggiatore turco-ottomano Evliya Çelebi (che, tra l’altro, la descrisse come una città splendente e attraente, interamente edificata in pietra, con terrazzi e giardini), è oggi uno dei centri maggiori del Kosovo.

La città vecchia è, storicamente, tra i centri commerciali più sviluppati dell’epoca della presenza ottomana nei Balcani, come, del resto, tuttora testimonia la grande area del Vecchio Bazaar, il cuore della Città Vecchia, punto di partenza e di arrivo dell’itinerario, che alterna spazi residenziali e locali commerciali, con al centro la storica Moschea Hadum (1594). Islam e Mercato rendono questa città un’incredibile sponda d’Oriente nei Balcani, e una delle conseguenze di questa antica, storica, tradizione commerciale, legata alla fondazione originaria della città, è la sua realizzazione in pietra, ampiamente utilizzata nella costruzione, ad esempio, di ponti. Legati alla funzione di passaggio e transito da parte delle carovane e dei commerci, i ponti di Gjakova testimoniano della più antica e più pura delle loro vocazioni: una vocazione originaria di comunicazione e di connessione, di sintesi e di unità.

Numerosi sono i ponti di Gjakova, al punto da essere talvolta ricordata come la «Città dei Ponti». Uno dei simboli della città è anche, allo stesso tempo, uno dei maggiori patrimoni culturali dell’intera regione, il Ponte Terëzive (Terzijski), steso, lungo il corso del fiume Erenik, nel 1730, su una precedente costruzione della fine del XV secolo, allo scopo di servire mercanti e artigiani nei loro spostamenti tra Gjakova e Prizren. È un ponte unico, composto di undici arcate, riconosciuto per il suo pregio, insieme, storico, sociologico, artistico, civile e culturale.

Era il 1594, quando la Moschea Hadum venne innalzata su una proprietà di Jak Vula, costituendo nella sostanza l’atto di fondazione della città come oggi la possiamo ammirare, almeno in base alla leggenda secondo la quale Jak Vula consentì ad Hadum Aga di edificare la moschea sul proprio terreno, a condizione che la città avrebbe poi portato il suo nome (così «Jakova», alias «Jak Ovasi», significa «Campo di Jak»). La Moschea, al di là del suo valore simbolico, è famosa soprattutto per la sua caratterizzazione stilistica: le sue decorazioni sono uno degli esempi più completi e sontuosi di barocco islamico albanese, ampiamente in uso nelle città del tardo Impero Ottomano.

Il patrimonio culturale islamico a Gjakova è sorprendentemente ricco e vario. Se la Moschea Hadum è uno dei luoghi simbolo dell’Islam Sunnita in città, la gran parte delle Tekke appartiene agli ordini dell’Islam Sufi: alcune di queste sono uniche per la loro concezione architettonica e il loro retaggio storico. Ad esempio, la Tekke di Sheikh Emin (1730) è uno splendido complesso di architettura religiosa, con le sue «turbe» (mausolei), le sue «samahanes» (sale di preghiera), le sue fontane. È spesso considerata un vero e proprio modello di tale stile.

L’attuale direttore della Tekke, dal 1985, Sheikh Ruzhdi Shehu, ha fatto parte della «Commissione per la Riconciliazione», istituita per cancellare le faide e perdonare le vendette di sangue, in Kosovo, e ha anche partecipato alla redazione della storica petizione «Per la Democrazia, contro la Violenza» (1989-1990), due tra i momenti più significativi, sotto la guida di Ibrahim Rugova, del movimento di auto-determinazione degli anni Ottanta. La Tekke Bektashi (1790), ulteriore punto di partenza per la visita al Bazaar, è un simbolo riconosciuto del movimento Bektashi in Kosovo. È stata la prima dell’ordine ad essere costruita nella regione, fu distrutta dalle forze serbe nel corso della Guerra del Kosovo del 1999, poi prontamente ricostruita tra il 2004 e il 2006.

Tradizionalmente, antico simbolo della città, spettacolare quando ripresa, nel paesaggio invernale, tra i tetti innevati, la «Torre dell’Orologio» o Sahat Kulla (1597) segnalava il punto di accesso al Bazaar; distrutta nel corso delle Guerre Balcaniche (1912), è stata sostituita da una nuova torre, ampiamente ricostruita sulle basi della vecchia. È un’architettura unica nella regione, per le sue varie caratteristiche: la costruzione in pietra, con la stanza di osservazione in legno, preserva poche pietre della costruzione originaria, con raffigurazioni simboliche.

Le Kullat e le Hanit sono due tipici edifici tradizionali albanesi: l’Haraqija (Haraçia, XVI secolo) è caratteristica costruzione con strutture in legno, con meravigliosi «çardak», due piani, un notevole cortile, mentre il secondo piano era dotato di numerose camere, per ospitare i carovanieri, molti provenienti da Shkodër (Scutari), nel Nord dell’Albania. La Casa di Sylejman Vokshi, in «Mejtepie Ruzhdije», è una torre (XVIII secolo) di grande valore architettonico in quanto costruita in mattoni, pietre naturali e pietre dure. Infine, la Kulla di Mustafa Vokshi.

Ulteriore ragione per la quale Gjakova è così importante nella storia del Kosovo è la ricchezza e la bellezza del suo patrimonio culturale intangibile (è il centro del più importante itinerario culturale immateriale attivo in Kosovo): secondo l’antica usanza bizantina, che ebbe peraltro ampio sviluppo anche durante il periodo ottomano, ciascuna arte artigiana era assegnata a una sua propria strada o corte. La sezione orientale del Bazaar ospitava l’arte della seta, l’arte del ricamo, l’arte dei bottoni o «sumbulla»; la sezione occidentale ospitava l’artigianato dei metalli, degli orologi e dell’argento; intorno alla Moschea Hadum e in altri punti del Bazaar trovavano posto l’arte della lana, l’arte delle pelli e del cuoio, ramai e intarsiatori. Il Vecchio Bazaar, in definitiva, ha grande importanza, per la vicenda culturale e la vita sociale della città. Un vero e proprio museo a cielo aperto di patrimonio immateriale.