In un nuovo rapporto, Amnesty International ha denunciato che l’allevamento di bestiame è il principale motivo di acquisizione illegale di terreni delle riserve e dei territori nativi della foresta amazzonica del Brasile. L’allevamento favorisce la deforestazione e viola i diritti dei popoli nativi e tradizionali a vivere sulla loro terra.

Il rapporto, intitolato “Recinta e porta le bestie: l’allevamento illegale di bestiame nell’Amazzonia brasiliana”, è stato presentato in occasione della consegna alle autorità del Brasile, da parte di Amnesty International Brasile e di leder nativi, di una petizione sottoscritta da oltre 162.000 persone che chiedono sia posta fine all’acquisizione illegale di terreni protetti nell’Amazzonia.

“L’allevamento illegale è la principale causa della deforestazione dell’Amazzonia. Mette a grande rischio non solo i diritti umani dei popoli nativi e tradizionali che vi vivono ma anche l’intero ecosistema globale”, ha dichiarato Richard Pearshouse, direttore del programma Crisi e ambiente di Amnesty International.
“Mentre l’amministrazione Bolsonaro smantella le protezioni ambientali a livello federale, alcune autorità statali stanno effettivamente consentendo l’allevamento illegale, che distrugge aree protette della foresta pluviale”, ha proseguito Pearshouse.

Tra il 1988 e il 2014 circa due terzi delle zone deforestate dell’Amazzonia sono state recintate e convertite in pascoli. Si tratta di 500.000 chilometri quadrati, cinque volte la superficie del Portogallo. Il rapporto di Amnesty International concentra la sua analisi su quelle autorità statali che consentono l’allevamento nelle aree protette.

Indagini sul posto

Nel corso del 2019 Amnesty International ha visitato cinque aree protette dell’Amazzonia brasiliana: i territori nativi Karipuna e Uru-Eu-Wau-Wau e le riserve di Rio Ouro Preto e Rio Jacy-Paraná nello stato di Rondônia, e il territorio nativo Manoki nello stato di Mato Grosso.

Le riserve sono aree realizzate per la protezione dell’ambiente, dei mezzi di sostentamento e della cultura delle popolazioni tradizionali e per l’uso sostenibile delle risorse naturali. Come i territori dei popoli nativi, sono protette dalle leggi brasiliane e da trattati internazionali.

Dati ufficiali, immagini satellitari e visite sul posto hanno consentito ad Amnesty International di verificare come le acquisizioni illegali di terreni, collegate all’allevamento di bestiame, stiano aumentando in tutte e cinque le aree.

Convertire la foresta in pascoli

Gli allevatori di bestiame e i grileiros – privati che acquisiscono illegalmente i terreni – seguono un modello ricorrente per convertire la foresta pluviale tropicale in pascoli. Prima vengono identificati i lotti, poi vengono abbattuti e portati via gli alberi e infine vengono appiccati gli incendi, spesso ripetutamente, prima di seminare il terreno e portarvi il bestiame.

Tra i segnali che le operazioni stanno iniziando vi sono la costruzione di nuove strade e l’apparizione di cantieri nelle aree protette. Queste attività sono in aumento nel territorio dei nativi Uru-Eu-Wau-Wau nello stato di Rondônia, buona parte del quale si sovrappone al parco nazionale di Pacaás Novos, dove secondo un funzionario di un’agenzia per la protezione ambientale federale dal 2017 sono stati costruiti 40 chilometri di nuove strade.

Un altro segnale che gli allevatori illegali e i grileiros stanno cercando di acquisire i terreni è la recinzione e l’incendio di ampie aree della foresta. Amnesty International ha visto e testimoniato grazie a immagini registrate con un drone quanto accaduto nel territorio nativo Manoki nello stato di Mato Grosso il 23 agosto 2019.

Un leader Manoki ha dichiarato ad Amnesty International che quanto accaduto quel giorno faceva parte dei tentativi sempre più violenti di distruggere le aree protette e convertire i terreni in pascoli. Amnesty International ha osservato bestiame al pascolo in almeno sei zone diverse del territorio Manoki.

Dalle analisi dei dati dei rilevatori satellitari antincendio e dalle immagini satellitari relative ai cinque territori visitati è emerso un modello chiaro. In più occasioni, il satellite ha catturato immagini di terreni incendiati nelle aree protette vicini a quelle in cui il bestiame pascolava liberamente. In altre immagini si vedevano solchi probabilmente causati dall’ingresso recente del bestiame nelle aree precedentemente incendiate.

Intimidazioni da parte di invasori armati

In quattro delle cinque aree protette Amnesty International ha raccolto testimonianze sulle violenze, le minacce e le intimidazioni che hanno spesso accompagnato le nuove invasioni. Nella quinta area, la riserva di Rio Jacy-Paraná, praticamente tutti gli abitanti originari sono stati sgomberati con la forza e hanno paura di rientrare nei luoghi dove ora vivono gli invasori armati coinvolti nell’allevamento del bestiame.

Le agenzie governative incaricate della protezione delle riserve sono state a loro volta prese di mira. Un funzionario di un’agenzia per la protezione ambientale che opera nei pressi del territorio nativo Uru-Eu-Wau-Wau ha raccontato: “Eravamo circondati dagli invasori: 32 uomini, la maggior parte incappucciati, arrivati alle nostre spalle. Gridavano, urlavano, ci chiamavano ‘banditi’“. Dopo un’ora di tensione, gli invasori se ne sono andati ma settimane dopo hanno iniziato a mandare al funzionario messaggi audio contenenti minacce.

In alcuni casi come nel territorio nativo Uru-Eu-Wau-Wau, le minacce di violenza contro i nativi e i funzionari addetti alla protezione ambientale sono state così gravi da costringere le forze armate e la polizia federale a intervenire.

Favorire l’allevamento illegale

Dalle ricerche di Amnesty International è emerso che non solo l’amministrazione Bolsonaro ha tagliato i fondi o ha compromesso in altro modo le attività delle agenzie per la protezione ambientale e dei popoli nativi, ma che alcune agenzie statali hanno effettivamente consentito l’allevamento nelle aree protette.
Le leggi dello stato prevedono che le agenzie per il controllo della salute degli animali debbano visitare e registrare gli allevamenti e tracciare i movimenti del bestiame.

Amnesty International ha presentato una richiesta di accesso alle informazioni agli stati di Rondônia e Mato Grosso per sapere quanto bestiame pascola nelle aree protette e i suoi movimenti.

Le autorità dello stato di Rondônia hanno fornito dati incompleti. Nonostante cinque solleciti, quelle dello stato di Mato Grosso non hanno mai risposto. Secondo i dati parziali relativi allo stato di Rondônia, nel novembre di un anno fa c’erano oltre 295.000 capi di bestiame nei territori dei nativi e nelle aree protette.

“L’opinione pubblica ha il diritto di avere informazioni sugli allevamenti di bestiame nelle aree protette: dopo tutto, si tratta di attività criminali. Le autorità brasiliane devono rendere disponibili queste informazioni e prendere misure concrete per porre fine all’allevamento illegale di bestiame nelle aree protette”, ha sottolineato Pearshouse.

“Il nostro rapporto fa parte delle ricerche in corso sulle implicazioni, per i diritti, dell’allevamento di bestiame e della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana. Le imprese coinvolte in questo settore sono avvisate: i nostri controlli sull’industria del bestiame in Brasile stanno aumentando”, ha concluso Pearshouse.


Il rapporto “Recinta e porta le bestie: l’allevamento illegale di bestiame nell’Amazzonia brasiliana” è disponibile all’indirizzo:
https://www.amnesty.it/brasile-allevamento-illegale-foresta-amazzonica
L’appello da firmare per chiedere di salvare la vita a Salomé è online all’indirizzo:
https://www.amnesty.it/appelli/salome-rischia-ogni-giorno-la-vita/