Non intendo scrivere un articolo ma semplicemente poche righe: buttate giù di getto, senza consultare archivi, documenti o libri, senza nessuna enfasi e senza nessuna pretesa di dare giudizi storici (scusandomi anzi per approssimazioni e semplificazioni), solo perché mi sembra inconcepibile che il trentennale di un periodo cruciale della nostra storia stia passando quasi sotto silenzio (per lo meno dalle informazioni a mia disposizione, sicuramente parziali).

Su Pressenza lo scorso anno fu ricordato e commentato il cinquantennale del ‘68: Anna Polo https://www.pressenza.com/it/2018/03/sessantotto-la-ribellione-allo-stabilito/; Angelo Baracca https://www.pressenza.com/it/2018/03/mio-68-svolta-maturazione-epocali/.

L’autunno dell’anno seguente, 1969, vide l’esplosione delle lotte nelle fabbriche in Italia. Queste lotte mobilitarono massicciamente la base operaia; posero rivendicazioni assolutamente nuove, contestando radicalmente l’organizzazione del lavoro, i cicli produttivi capitalistici, i ritmi di lavoro, e i loro effetti nocivi sulla salute fisica e psichica dei lavoratori; diedero vita a forme sindacali di base, fondate sui Consigli di Fabbrica (CdF) e i delegati di reparto espressione diretta della volontà dai lavoratori, e nelle grandi fabbriche sul Gruppo Operaio Omogeneo (GOO) che raccoglieva appunto gli operai che vivevano e subivano le medesime condizioni di lavoro. Il GOO scalzò il ruolo tradizionale del Medico di Fabbrica, che era stipendiato dal padrone, e creò nuove forme collettive e condivise di conoscenza operaia capaci di denunciare le nocività della condizione lavorativa a dispetto delle asserzioni di assenza di fattori nocivi, contestando quindi concretamente la pretesa “oggettività” scientifica dei dati ambientali, e la loro parzialità: riassumendolo in uno slogan, sulla pretesa “oggettività assoluta e definitiva” della Scienza prevaleva la “soggettività operaia” come fonte di conoscenza.

Sarebbe fuori luogo discutere queste grandi novità in modo sbrigativo.

Le lotte operaie coinvolsero anche le categorie dei tecnici (i “colletti bianchi”), inducendo l’unità dei sindacati confederali metalmeccanici (Flm, Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici), e catalizzarono anche le lotte dei tecnici nei centri di ricerca, nelle università, nel settore della sanità, ecc.

Queste lotte operaie, inoltre, si saldarono con la contestazione e con le forme di lotta studentesche del Sessantotto, e diedero anzi concretezza alle contestazioni della “non neutralità” della Scienza e del sapere tradizionale e accademico.

Un’espressione avanzata, per dare un esempio significativo, fu la direzione della rivista di divulgazione scientifica Sapere affidata dall’editore Dedalo al medico e biometrista Giulio Maccacaro (1924-1977), il quale si circondò di un folto gruppo di delegati di fabbrica, medici, tecnici e scienziati di ogni campo, ed anche studenti: questa rivista, fino alla scomparsa prematura di Maccacaro, costituì una punta avanzata che sviluppò una critica serrata e concreta al sapere tradizionale e accademico, dando espressione alle problematiche e le rivendicazioni operaie e sociali, e intervenendo sui problemi più scottanti, quali l’incedente epocale all’Icmesa di Seveso (10 luglio 1976) che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube della diossina TCDD, una sostanza chimica fra le più tossiche.

Con il contratto nazionale dei metalmeccanici del 1973 furono conquistati l’inquadramento unico operai-impiegati, le 150 ore retribuite per l’aggiornamento culturale nel senso più ampio dei lavoratori (non solo formazione professionale, rimase proverbiale anche se questi volevano imparare a suonare il violino), gli aumenti salariali uguali per tutti; nelle imprese pubbliche i siderurgici ottennero la settimana di 39 ore.

Le lotte e le rivendicazioni operaie si estesero fuori dalle fabbriche a livello sociale, inducendo una consapevolezza e rivendicazioni nuove sulle nocività e sulla salute. Questi movimenti si saldarono anche alle lotte contro la guerra degli Stati Uniti al Vietnam (1955-1975).

Fu una stagione epocale, che trasformò per definitivamente l’Italia del dopoguerra. Queste trasformazioni si intrecciarono – certo non a caso – con la recrudescenza delle “trame nere”: proprio il 12 dicembre di quell’anno vi fu la strage di Piazza Fontana (ne ho scritto esattamente due anni fa in “La Nato e la torbida storia segreta dei misteri d’Italia”, https://www.pressenza.com/it/2017/11/la-nato-la-torbida-storia-segreta-dei-misteri-ditalia/).

La radicalizzazione delle lotte diede origine anche a profonde contraddizioni e divisioni nei movimenti della sinistra estrema, dalle quali si generarono le forme della lotta armata (si veda per esempio il recentissimo, e originale per impostazione, libro di Alberto Pantaloni, Figli dell’officina. Da Lotta continua e Prima linea: le origini e la nascita (1973-1976), DeriveApprodi, 2019).

Ribadisco che queste mie poche, anche approssimative, righe non hanno nessuna ambizione di generalità o profondità critica, ma hanno il solo scopo di richiamare l’importanza fondamentale che ha avuto l’Autunno Caldo del 1969 – nel bene e nel male – nella storia del nostro Paese.